Recensione Man to Man (2005)

Il film non si può affidare ad una sceneggiatura particolarmente solida o ad una regia esaltante, e anche il cast, seppur variegato, non brilla mai se non quando in scena sono presenti i due "selvaggi", al loro esordio cinematografico.

Se questo è un uomo...

La 55° edizione del Festival di Berlino parte con Man to Man, drammone storico-antropologico del regista Régis Wargnier (Indocina), che vede al centro della storia l'ossessione di tre scienziati di epoca vittoriana che arriveranno a catturare e rapire due pigmei allo scopo di studiarli e dimostrare che la loro razza rappresenta l'anello mancante tra il genere umano e i primati, come Darwin insegna. Tutti e tre gli scienziati in principio sembrano avere nei confronti dei due selvaggi lo stesso atteggiamento e lo stesso fine, ma ben presto le dinamiche degli eventi porteranno a divergenze insormontabili, con il Jamie interpretato da un composto ma non particolarmente brillante Joseph Fiennes che finirà con il mutare radicalmente il proprio atteggiamento verso Toko e Likola, trasformandoli, almeno ai suoi occhi e a quelli della fascinosa (ma poco sfruttata) Kristin Scott Thomas, da due essere inferiori e meri oggetti di studio a esseri umani dotati di ragione e cuore, capaci di sentimenti ed emozioni, e quindi degni perfino di un ruolo in società come chiunque altro.

Il film segue il cammino e l'evoluzione di questo personaggio che va di pari passo con la "umanizzazione" dei due pigmei, ma la rappresentazione di questi eventi è a tratti macchiettistica (a volte volutamente, riuscendo a strappare più di un sorriso) ma soprattutto spesso superficiale, sfiorando più volte alcuni argomenti interessanti (fino a dove si può spingere la scienza? Quali sono stati i prezzi pagati da molti innocenti per l'evoluzione della nostra società e della nostra conoscenza? O ancora il rovesciamento di fronti tra artefici e vittime...) ma senza mai approfondirli o prendere una direzione ben precisa, e finendo così con il non emozionare e non appassionare.
D'altronde il film non si può affidare ad una sceneggiatura particolarmente solida o ad una regia esaltante, e anche il cast, seppur variegato, non brilla mai se non quando in scena sono presenti i due "selvaggi", al loro esordio cinematografico.

Le due ore di durata scorrono comunque abbastanza veloci anche perché considerati i temi trattati, particolarmente rischiosi e infatti già non si sono fatte mancare le prime accuse di razzismo, il tono del film rimane sempre leggero, ma anche questo non è detto che debba essere un pregio, anzi potrebbe essere una scelta per alcuni fastidiosa.
In conclusione, può apparire discutibile aprire un festival di tale prestigio con una pellicola di dubbio valore e priva di reali attrattive.

Movieplayer.it

2.0/5