Scusa ma ti voglio sposare: incontro con Moccia e i protagonisti

Una chiacchierata con il cast e il regista del film: si parla di sentimenti, generazioni e di critica. E Raoul Bova si lascia sfuggire un'anticipazione sul suo prossimo futuro.

Avviato ormai a spron battuto lungo la strada della cinematografia, Federico Moccia approda alla sua terza avventura da regista, che segue i due grandi successi di botteghino Scusa ma ti chiamo amore e Amore 14. E proprio del primo, e più fortunato film, questo nuovo lavoro è il seguito: la giovanissima Niki e il quarantenne Alex sono ormai una solida coppia, e, con il romanticismo che da sempre lo contraddistingue, il bel pubblicitario ha deciso di chiedere alla fidanzata di sposarlo. L'entusiasmo di Niki è da subito alle stelle, ma non tutto quello che concerne, e soprattutto che precede, il matrimonio è come lo si immagina: la famiglia dello sposo, aristocratica e snob oltre ogni dire, mal si accompagna con i genitori tardo-punk della ragazza, e l'assenteismo di Alex, troppo occupato sul lavoro, non rende la vita facile a Niki, pilotata tra una bomboniera e un catering dalle due dispotiche future cognate. Ad inasprire la crisi ci si metterà anche un compagno di università, amante di Keats quanto della conquista in sé. E nemmeno i tre amici di Alex, già sposati e, in un caso, con prole, se la passano troppo bene sul versante amoroso. Il cast al completo, insieme al regista, hanno presentato oggi il film, coprodotto da Rita Rusic e da Medusa, rappresentata dal presidente Carlo Rossella.
Rita Rusic: Questo film nasce naturalmente dal successo del primo, e noi avevamo la volontà di seguire questa storia. Voglio ricordare che in fase di sceneggiatura ci siamo affidati, oltre che a Federico, anche a Chiara Barzini e Luca Infascelli. Fare questo film è stato bellissimo, difficile dal punto di vista organizzativo perché abbiamo dovuto coordinare tante presenze, ma quella fisica è stata l'unica difficoltà.
Carlo Rossella: Io sono un lettore di Moccia fin dal suo primo libro, e uno spettatore fin dal primo film. Purtroppo i primi film tratti dai suoi romanzi non li abbiamo prodotti noi, ma con questo siamo già al terzo, dopo Scusa ma ti chiamo amore e Amore 14, e mi auguro che abbia successo come gli altri. Voglio poi aggiungere che il film verrà proiettato alla Pontificia Università Lateranense, e costituirà quindi un'occasione per parlare di matrimonio e di relazioni anche con una platea così diversa da quella delle sale.

Questo è anche un film sul fallimento sentimentale dei quarantenni. Ma l'unica speranza è quindi nei loro figli?

Federico Moccia: Quello dei quarantenni è un momento che ho voluto inserire perché legato a cose che sono davvero vissute. Una volta, in Spagna, durante un'intervista, stavo parlando proprio delle difficoltà che una coppia affronta quando comincia ad abituarsi a se stessa, quando rimpiange i primi momenti dell'amore, e mi sono accorto che il traduttore aveva smesso di parlare. Gli ho chiesto come mai, e mi ha confessato che si stava immedesimando tantissimo in quello che stavo dicendo: ognuno vive come suoi alcuni aspetti di questa pellicola, come ad esempio questa difficoltà di trovare il tempo e la volontà di costruire un rapporto duraturo. La forza dei figli, quella di Niki, è di avere la consapevolezza di quello che si sta vivendo, che della maturità fa parte anche la paura, ed è una considerazione a cui deve essere attento anche chi è già sposato.

Come affronti il passaggio dal romanzo al film? Federico Moccia: E' un passaggio molto difficile. Tanta gente mentre legge ha già una propria proiezione dei fatti, siamo tutti un po' registi di quello che accade nel libro che leggiamo, e ci mischiamo il nostro vissuto. Qui ho dovuto tagliare moltissimo, soprattutto la storia che ha Alex durante l'allontanamento da Niki, ma volevo concentrarmi sul raccontare bene quello che abbiamo messo nel film. A differenza del libro, che a volte si vorrebbe non finisse mai, il film rappresenta un arco emotivo che va consumato in fretta, e mi è piaciuto farmi aiutare da Luca e Chiara ad armonizzare questo passaggio.

Rispetto al precedente, questo film è più corale e ironico. Questo per aprirsi anche a un pubblico diverso? Federico Moccia: Nel libro c'è più spazio e modo di fare vivere più momenti romantici. Il pubblico, che è sempre colui che guida il tuo successo, ama il romanticismo, si affeziona ai personaggi come se fossero degli amici che non vede da tempo, e vuole vedere i loro sogni realizzati. Con tutto quello che succede nel mondo, tutti i problemi che tutti hanno, la gente ha bisogno di storie belle, e il cinema ti dà la possibilità di essere puro. Però mi piaceva dare anche una chiave comica, rappresentata benissimo dai genitori di Niki [Cecilia Dazzi e Pino Quartullo, n.d.r.], molto all'italiana. Nel rapporto tra genitori e figli ho voluto delineare le differenze più vere, non voglio ci si annoi, ma che si ragioni.

Raoul, tu hai fatto anche tanti film d'azione, cosa ti spinge ad affrontare il genere romantico? Raoul Bova: Io ho fatto questo seguito perché mi sono trovato molto bene nel primo film, e sono grato a Federico, e prima ancora a Rita, di avermi dato la possibilità di fare una commedia. Anche una piccola scelta può essere fondamentale, e infatti da questa sono poi nate altre collaborazioni.

Cosa farai a Sanremo? Raoul Bova: Non so ancora se andrò, è una cosa per cui siamo ancora in trattativa.

Cosa ne pensi tu, e cosa ne pensa Michela, della differenza di età all'interno della coppia? Raoul Bova:

La differenza di età è importante, può creare una serie di problematiche, ma alcune persone non dimostrano l'età che hanno, da una parte e dall'altra. Qui ribadiamo i concetti del primo film: Michela ha interpretato bene una ragazzina giovane, ma con sentimenti e sogni, a cui anche un uomo di quarant'anni può dare fiducia.
Michela Quattrociocche: Io non credo sia così importante, con l'amore si supera tutto. Esistono ragazze di vent'anni molto mature e uomini di quaranta che non lo sono. L'importante è venirsi incontro, cosa che abbiamo raggiunto qui io e Alex.

La coppia di genitori post-sessantottini è forse la prima del genere che è portatrice di valori buoni. Federico Moccia: Forse perché la maggioranza della gente non aveva capito bene quel periodo. Spesso si giudica un atteggiamento, si fanno valutazioni sull'immagine, e non ci si preoccupa di quello che c'è dietro. Mi piace far riflettere su cosa sta cambiando, su questo matrimonio giovane che sembra una controtendenza, almeno secondo i giornali, che però non rappresentano davvero la società. Michela, dopo aver visto il film, mi ha detto: se non ci avessi lavorato io, direi che questo è il film più bello della mia vita, e questo mi ha fatto molto piacere. I giovani sono figli di persone che a volte devono ricredersi sulla possibilità di costruire qualcosa di solido e duraturo.

Sei molto attento al mondo di internet. Hai molti fan nella rete, ma anche parecchi che ti criticano. Addirittura alcuni rifiutano di recensirti, come ti poni rispetto a questo? Federico Moccia:

Non piacere è normale, mi dispiace quando si tratta di un preconcetto. Spesso vedo al cinema uomini trascinati a vedere i miei film dalle donne, e che alla fine si divertono più di loro. A me piace la libertà, mi piace la mia libertà, e quindi accetto quella degli altri. A volte leggo questi commenti, e alcuni scrivono cose come "non sopporto Moccia e Dostoevskij", il che mi fa sentire onorato. Io penso però che il critico debba avere un rapporto tanto con il pubblico quanto con l'autore, perché se il predecessore di questo film ha incassato 13 milioni di euro allora qualcosa che piace ci deve essere, e quindi una persona dovrebbe chiedersi: perché a me non piace? Se arriva una critica che mi fa ragionare, però, sono felice. Spero che chi si rifiuta di vedermi prima o poi riesca ad accettarmi, comunque.

Michela, secondo te le donne hanno una marcia in più rispetto agli uomini? E che ne pensi del confronto che tra queste due famiglie così diverse? Michela Quattrociocche: Io non posso dire che le donne hanno una marcia in più, anche se, da donna, magari posso pensarlo. Dipende sempre da individuo a individuo. Le famiglie sono quelle che fanno nascere la crisi, mettendosi in mezzo, ma poi la vinceremo, prendendo atto del nostro amore.

Come ne esce il matrimonio cattolico da questo quadro? Federico Moccia: Attraverso anche la figura, un po' esagerata, del prete, racconto delle convenzioni sociali per cui il matrimonio è legato anche a delle tempistiche: se si sta insieme da tanto è la logica conseguenza, salvo poi lasciarsi dopo poco. Però i miei protagonisti ci credono, e quindi vanno fino in fondo. Se vissuto così, il matrimonio ti fa sentire padrone della tua vita: ci sono il sogno e il desiderio, si, ma anche le paure e le ansie che questo comporta.

Moccia è quindi una sorta di anti-Muccino nella sua visione dei quarantenni? E Raoul, tu in quale versione ti riconosci?

Federico Moccia: Ma perché devono esserci per forza degli "anti"? Per fortuna una generazione è fatta da tante persone, da tante voglie di raccontare le cose in chiave diversa. Entrambi ci siamo trovati a fare due sequel, e non potevamo tradire improvvisamente i protagonisti originari. Muccino ha esplorato cose più dolorose, i drammi, ma la delusione non si può mettere su una bilancia. Questo rimane per me un paragone di prestigio, in ogni caso.
Raoul Bova: I quarantenni non sono tutti uguali, e non sono solo mocciani o solo mucciniani: sono due aspetti che si completano. Sono due lati dell'amore, uno travagliato, uno più sognante, e io li ho vissuti entrambi.

Che importanza ha la musica all'interno del film? Federico Moccia: A me piace che la bellezza sia raccontata attraverso un pezzo musicale, facilitato dalla sua brevità, come se fosse una fotografia. Qui con gli Zero Assoluto abbiamo fatto un lavoro più ampio di una sola canzone, e abbiamo cercato un equilibrio tra profondità e leggerezza. La musica accompagna senza parole, veicola sempre un'emozione.

Ti senti più vicino agli argomenti di Amore 14 o a quelli, più adulti, di questo film? E verso cosa si evolverà la tua scrittura? Federico Moccia: Non è mia intenzione generalizzare o rappresentare delle tipologie. Il mio privato non è quello che scrivo, anche se qualcosa naturalmente rubo, ma molto è affidato alla fantasia, e quindi non posso fare pronostici. Mi auguro che sia sempre un piacere essere letto, e tendo sempre al miglioramento.

Raoul, una volta tu hai dichiarato "per i miei fan cerco sempre di esserci, ogni autografo non firmato è un sogno che ho ucciso". Che rapporto hai con i tuoi fan e qual è la tua fan ideale? Raoul Bova: Una volta chiesi un autografo a un cantante, che me lo negò. Io ci rimasi molto male, è una cosa che ricordo ancora e quindi cerco di dare il più possibile, perché se mi chiedono una foto, o un autografo, significa che è qualcosa di importante per qualcuno. La fan ideale è quella che ti segue da sempre, sa il percorso che hai fatto e la tua evoluzione.

Qual è la tua prossima sfida? Raoul Bova: Ho da poco ripreso a nuotare, e anche con buoni tempi, quindi non mi metto limiti. Magari la prossima sfida sarà un film sul nuoto, e chissà, potrebbe anche essere il mio ultimo film: ho iniziato con un film sul nuoto e potrei anche finire così la carriera.