Recensione Ninja Assassin (2009)

Formatosi alla scuola dei fratelli Wachowski, James McTeigue firma un funambolico e ipercinetico esercizio di stile, che guarda da una parte alle stilizzazioni estetiche del cinema orientale e dall'altra alla virtualità. dell'azione da videogioco.

Scontri di superficie

"Il tatuaggio rivela la natura dell'uomo": e quello che confida un vecchio e saggio tatuatore a un maldestro aspirante yakuza, che difatti di lì a poco sarà letteralmente spazzato via dalla furia tanto repentina quanto impercettibile di un manipolo di ninja. Questa dichiarazione dal piglio zen, posta nell'incipit di Ninja Assassin, funambolico e ipercinetico esercizio di stile che segna il ritorno alla regia di James McTeigue dopo V per Vendetta, potrebbe quasi essere assunta come manifesto e chiave di lettura del film. McTeigue - che ha compiuto un lungo apprendistato presso la corte dei fratelli Wachowski dirigendo le sequenze d'azione per quasi tutti i loro film - si fa portatore di un cinema superficiale: inteso non tanto (o per lo meno non solo) come appiattimento del contenuto, quanto soprattutto come ricerca di un'ostentata stilizzazione formale, che pone al centro della propria estetica un'esaltazione di contorni, linee e superfici (come del resto la tradizione orientale vuole).

Verrebbe quasi da soprannominarlo scherzosamente "cinema dell'epidermide", proprio per il continuo insistere sulle superfici lucide dei corpi, a partire proprio da quello del protagonista Raizo che - scolpito e modellato dalle dure sessioni di addestramento cui si è sottoposta la star coreana Rain - fa bella mostra di sé durante lunghe e ostentate sequenze d'allenamento "alla Bruce Lee". Un corpo che, come quello di molti altri personaggi del film, è tuttavia sottoposto a continui strappi e lacerazioni, come se vi fosse l'esigenza di marchiarlo e "disegnarlo" non solo con tatuaggi, ma anche con cicatrici, piaghe, escoriazioni. Segni, appunto, che si limitano a esprimere il dolore e la violenza solo in superficie, in maniera grafica e stilizzata; ma che non sono in grado di penetrare nelle pieghe più profonde dell'animo, dove si nascondono i sentimenti e le motivazioni dei personaggi.

Ed è forse per questo che Raizo - ninja anarchico che si è ribellato alle regole spietate e amorali del proprio clan e che adesso difende dalle grinfie dei suoi ex compagni l'agente dell'Europol Mika Coretti (Naomie Harris) - è ossessionato soprattutto dalla ricerca del cuore. Quel cuore che ha sentito per la prima volta battere grazie a Kiriko, sua unica amica e confidente presso il clan di Ozunu, uccisa dal loro padrone proprio a causa della sua eccessiva umanità. Trasponendo questa ricerca su un piano cinematografico, è come se l'intero film di James McTeigue mirasse con tutte le sue forze a raggiungere il "cuore" emotivo della storia e dei personaggi, senza però mai riuscirci perché troppo ancorato alla superficialità dei corpi e dell'azione. E allora, al posto del cuore, rimane solo la sua manifestazione più evidente e "grafica": il sangue, che letteralmente inonda a fiotti le sequenze d'azione del film, con derive splatter volutamente cartoonistiche e grottesche. Diversamente da un'opera come Ichi the Killer di Takashi Miike, dove gli effetti sanguinolenti e grandguignoleschi assumevano una funzione simbolica ben precisa, in Ninja Assassin la violenza non ha alcun valore significativo, ma risponde solo a un'esigenza di tipo "pittorico": gli zampilli color rosso rubino, infatti, dipingono le pareti quasi come fossero degli "action paintings" di Jason Pollock.
La rappresentazione del sangue, ma anche delle le ferite e delle cicatrici dei protagonisti, risulta "grafica" anche perché realizzata quasi interamente al computer. I personaggi di Ninja Assassin, ritoccati digitalmente, finiscono in questo modo per divenire quasi immateriali e trasformarsi in esseri fantasmatici ed evanescenti, in maniera perfettamente rispondente alla figura leggendaria del ninja. Eterei e intangibili erano, del resto, anche le creature virtuali della serie di Matrix; nonché i bidimensionali protagonisti di Speed Racer, più consoni allo spessore di una pagina di fumetto o di un disegno animato, che a quello di un film vero e proprio. James McTeigue - che si nutre dello stesso immaginario cybernetico e postmoderno dei fratelli Larry e Andy Wachowski - non trae ispirazione tanto dai film di kung fu del passato come fa Quentin Tarantino, quanto da moderne serie animate giapponesi come Ninja Scroll, e soprattutto da videogiochi. E mentre oggi i videogames finiscono per somigliare sempre di più ai film, elaborando anche complesse intelaiature narrative, i nuovi blockbuster sono sempre più simili a giochi virtuali. La linearità del percorso di Raizo, infatti, sembra essere strutturata su una progressione per diversi livelli di difficoltà, fino allo scontro con il capo clan Ozunu, assimilabile a un boss di fine gioco. Il protagonista, a spregio di qualunque effetto di realismo, appare indistruttibile e guarisce dalle ferite auto-rigenerandosi, proprio come i personaggi videoludici. C'è persino una concitata sequenza d'inseguimento nel traffico berlinese che richiama lo stile dei videogames automobilistici...

In Ninja Assassin la carne si fa virtuale e il sangue si riduce alla bidimensionalità di un pixel. Il cuore, invece, latita: è questo il futuro del cinema d'azione?