Recensione Smile (2009)

A una generale cura nella confezione, almeno limitatamente alla fotografia (qui facilitata dai set suggestivi e dall'uso del digitale) corrisponde una innegabile pochezza di idee, e soprattutto un certo disinteresse per la narrazione propriamente detta.

Scatti mortali

Sette amici italiani e una vacanza esotica, nel cuore del Marocco. Una strana macchina fotografica, automatica regalata da un misterioso commerciante di anticaglie. La comparsa di uno strano cacciatore, vagamente ostile, e poi una serie di eventi mortali che coinvolgono, a uno a uno, tutti i membri del gruppo. Una forza misteriosa si cela dietro il presente ricevuto dai ragazzi, ma lo scetticismo e i contrasti nel gruppo fanno sì che questa continui indisturbata nella sua opera...

Poche considerazioni sparse vengono in mente guardando questo Smile, opera prima di Francesco Gasperoni, esperto di chimica e fisica ora passato al cinema (segno evidente che l'eccellenza in un campo culturale non comporta necessariamente capacità analoghe in altri): la prima è che ai registi di genere italiani servirebbe urgentemente qualcuno che li consigliasse sulla scelta dei titoli, visto che in pochi anni abbiamo assistito a due horror intitolati rispettivamente La notte del mio primo amore (alzi la mano chi, con un titolo del genere, non penserebbe a una commedia adolescenziale) e Smile (titolo che fa pensare a tante cose, ma certo non ad un horror). La seconda considerazione è che questi pochi film di genere, che faticosamente cercano di farsi largo tra le maglie della distribuzione nostrana, sembrano tentare, un po' maldestramente, di scimmiottare modelli d'oltreoceano anziché cercare una fisionomia propria: l'abbiamo visto col recente Visions (evidentemente ricalcato sui thriller stile Saw - L'enigmista e derivati) e lo vediamo anche con questo film, che può essere considerato una sorta di Final Destination nostrano, in versione ulteriormente semplificata. Una terza considerazione riguarda il fatto che, in questo come negli altri esempi citati, a una generale cura nella confezione, almeno limitatamente alla fotografia (qui facilitata dai set suggestivi e dall'uso del digitale) corrisponde un'allarmante pochezza di idee, e soprattutto un disinteresse totale per la narrazione propriamente detta.

In effetti, i limiti di questo Smile sono tutti riassunti in un intreccio esile, pretestuoso, poco credibile; e quest'ultima considerazione non è riferita ovviamente al carattere fantastico del soggetto, quanto alla credibilità delle azioni dei protagonisti. Protagonisti che incarnano e rappresentano stereotipi dai quali la sceneggiatura non fa nulla per sollevarli, così come da par loro poco possono fare gli attori coinvolti, tra i quali spicca almeno un Armand Assante in grado di garantire una certa dose di mestiere. La regia annaspa così, svogliatamente, dietro una serie di eventi prevedibili e per nulla spaventosi, con lo spettatore che già dopo venti minuti inizia a chiedersi cosa aspettino i protagonisti a distruggere la macchina fotografica mortale, tale è l'evidenza della sua responsabilità negli eventi.
C'è in effetti una quarta considerazione che viene in mente dopo la visione di questo film, che è in realtà un inquietante interrogativo: com'è possibile che un film come questo abbia ricevuto cospicui finanziamenti pubblici (da parte del Ministero per le Attività Culturali e della Regione Lazio), e sia stato definito, come si legge nei titoli di testa, "opera di interesse culturale"? Quali sono i criteri che regolano tali decisioni, e soprattutto la scelta delle pellicole? Interrogativo destinato a restare, probabilmente, aperto.

Movieplayer.it

2.0/5