Recensione Tutto torna (2008)

Pitzianti si muove su un doppio registro, quello della spensieratezza e dell'amarezza più profonda, come un giovane di fronte all'ineluttabilità degli eventi si troverebbe a reagire.

Sardegna, oggi

Dopo l'incantevole Sonetaula e Jimmy Della Collina, la Sardegna torna a riaffacciarsi nelle nostre sale per proseguire in questa sua personale scoperta della vita e dei suoi affanni attraverso gli occhi di un giovane che s'appresta a diventare adulto. Protagonista di Tutto torna di Enrico Pitzianti, al suo primo lungometraggio di finzione dopo il suggestivo documentario Piccola pesca, è un ragazzo in movimento, simbolo di un popolo fiero, che non intende rinunciare alla propria terra, anche se sa che restando in quei luoghi la realizzazione dei propri sogni è destinata a non compiersi, perché preclusa dalle possibilità limitate di un territorio e una società ancora in pieno divenire. Il ventenne Massimo decide di non abbandonare l'isola, si trasferisce dal Nord della Sardegna a Cagliari, con l'ambizione di diventare scrittore e la pazienza e la buona volontà di accontentarsi di quello che gli offre il presente. Nel frattempo si guarda intorno, con gli occhi curiosi che vanno a cercare una vecchia che fa dannare gli abitanti del condominio dove alloggia (presso lo zio) e che si posano sul corpo di una ballerina cubana lasciandosi travolgere dalle emozioni, incapace di riconoscere scomode verità.

Pitzianti si muove su un doppio registro, quello della spensieratezza e dell'amarezza più profonda, come un giovane di fronte all'ineluttabilità degli eventi si troverebbe a reagire. I problemi economici e l'usura tormentano lo zio, il sospetto arma i condomini decisi a mettere alla porta l'inquilina indesiderata (perché la sua diversità così laida disgusta e va eliminata) e le persone che ama e ammira si rivelano essere in realtà diverse da quel che credeva (la ragazza amata è in realtà un trans, lo scrittore-mito vive in condizioni miserevoli). C'è amore e rabbia nel vagare del protagonista per il quartiere della Marina, ben colto nella sua apertura multietnica e nella vivace confusione di odori, lingue, arti e ambizioni. Innamorato della sua terra, il regista prova a restituirne tutta la sua vitalità, ma deve arrendersi alle zone d'ombra degli esseri umani, uguali in ogni parte del mondo, e ai limiti ancora insuperabili per chi ha desideri più grandi di quelli che lì possono essere realizzati.

Pitzianti non ha velleità fuori portata, si concede un film onesto fatto con poco, provando a servirsi della bravura di Ilaria Fraioli al montaggio per dare alle vicende che narra un ritmo più incalzante, ma nel momento più opportuno per un cambio di marcia, la narrazione comincia a zoppicare e si ritrova a corto di argomenti. L'idea del riciclaggio come metafora della ciclicità della vita torna anche quando ha già detto tutto, esaurendo la sua forza, e affaticando il film che deve abbandonarsi inevitabilmente all'amarezza di una realtà diversa da quel che si vorrebbe. La deriva malinconica dell'opera trova una giusta conclusione che fonde insieme sconfitta e nuovi orizzonti, una scelta coraggiosa perché non appare scontata. Superflue le parentesi oniriche dai colori saturi che si insinuano in un'opera altrimenti votata all'essenzialità, che scava nei primi piani dei protagonisti, seppur non sempre con incisività. Ancora una volta, la Sardegna si conferma terra che può far bene al nostro cinema, anche se in questo caso siamo già un passo indietro rispetto a quanto visto in questa stagione.