Recensione Santa Maradona (2001)

Marco Ponti ci risparmia il pretenzioso affresco sociologico su una intera generazione cercando di raccontare solo una piccola storia.

Santa Maradona: il "falso" cinema

Allora vediamo di fare ordine: siamo a Torino, abbiamo due laureati in lettere che vivono insieme e non sanno che fare della loro vita. I trent'anni sono vicini, la vita sentimentale è un casino, il cinema e il calcio non sono più quelli di una volta e di lavorare non se ne parla.
Partiamo da l'unico pregio di questo primo film di Marco Ponti: ci risparmia il pretenzioso affresco sociologico su una intera generazione cercando di raccontare solo una piccola storia, ma è una storia banale, già vista, terribilmente inutile che rinuncia del tutto a parlarci della realtà nascondendosi tra le maglie degli stereotipi sui soliti trentenni privi di punti di riferimento.

E così abbiamo macchiette invece che personaggi, insulsi e verbosi monologhi dei protagonisti su qualsiasi amenità immaginabile, ma soprattutto abbiamo l'icona di questo nuovo cinema: il caro onnipresente Stefano Accorsi ancora più sopra delle righe che in L'ultimo bacio. La sceneggiatura strizza di continuo l'occhio a una sorta di giovanilismo da studente del Dams e punta a emulare, per non usare il verbo clonare, le gesta di quel capolavoro di Clerks - Commessi, vero manifesto irraggiungibile di un certo cinema spensierato ma geniale. Accanto al film di Kevin Smith, manco a dirlo l'altro riferimento indiretto è a Pulp Fiction da cui lo spunto per certi siparietti di humor nero lontani anni luce dalla qualità della penna di Quentin Tarantino. Ma il vero punto debole del film sono i due personaggi che vengono rappresentati, la loro saccenza didascalica è disarmante e irrita all'inverosimile; specie il caustico compagno di casa dell'isterico Accorsi che qualche battuta l'azzecca pure ogni tanto, ma mediamente è una tacca più odioso di un funzionario nazista. Vorrebbe essere per l'appunto l'irresistibile Randall di Clerks ma ne è solo la sbiadita, autocompiaciuta fotocopia.

Al pari della sceneggiatura, anche la regia è alla continua ricerca dell'ammiccamento e dell'effetto pulp, ma tutto appare come fortemente calcolato, dalla narrazione infarcita di salti temporali per lo più privi di una reale funzione diegetica a giochetti da vieo-clip. In definitiva un film noioso, furbo e privo di sincerità in cui l'unica cosa che potrebbe funzionare è il progetto buttato lì di organizzare un festival della topa grossa.