Salvatores presenta Quo vadis, baby?

Primavera sempre più calda per quanto riguarda le uscite italiane. Dopo le frequenti uscite del periodo di molti film nazionali di basso profilo distributivo e dell'ambizioso film di Daniele Vicari, e stato infatti presentato a Roma anche il nuovo film di Gabriele Salvatores.

Primavera sempre più calda per quanto riguarda le uscite italiane. Dopo le frequenti uscite del periodo di molti film nazionali di basso profilo distributivo e dell'ambizioso film di Daniele Vicari, e stato infatti presentato a Roma il nuovo film di Gabriele Salvatores, Quo vadis, baby?. Tra i titoli di punta delle prossime settimane, il film del regista di Mediterraneo, Nirvana e Io non ho paura, sarà presente in duecento sale italiane da venerdì prossimo. Questo il resoconto dell'incontro che Salvatores e il suo cast ha avuto con la stampa.

Com'è stato il processo di lavorazione del film e il confronto ancora una volta con un altro genere cinematografico? Gabriele Salvatores: Decisamente molto faticoso, visto il tipo di storia, ma avevo un grande desiderio di affrontare una struttura narrativa del genere, qualcosa che permettesse di esprimermi in libertà, senza aver bisogno di dimostrare qualcosa. In un'epoca in cui la televisione si fa sempre più catalizzatrice dell'immaginario collettivo, percorrendo la strada a lei più comoda di abbassare la soglia del desiderio e del gusto, trovo sia fondamentale mettere il pubblico in una dimensione attiva e di impegno, nella decodifica di ciò che gli si mostra. E' a questo proposito che ho girato un finale in cui è lo spettatore e non il protagonista a vedere lo sviluppo delle vicende; dal mio punto di vista è una dichiarazione di amore e di fiducia verso il cinema.

Ma come mai lei rimane uno dei pochi autori italiani a esplorare a fondo il mondo dei generi? Gabriele Salvatores: Personalmente non credo sia così, anzi. In Italia ci sono molti ottimi registi in grado di fare ottimi film, il problema è che il cinema di genere nel nostro paese è spesso considerato come qualcosa di minore ed è anche preso poco in considerazione dalle produzioni. In qualche modo dovremmo "uccidere" i nostri grandi genitori: il neorealismo e la commedia all'italiana. Il confronto con un cinema che ci ha reso così celebri, probabilmente ci rende difficili molte cose. Io credo invece che nel fare i film si impara sempre qualcosa e per questo credo sia giusto cambiare, sperimentare, spostare il proprio punto di vista. Ad esempio, adesso mi piacerebbe girare un western o un film di montagna; qualsiasi cosa si possa fare in grandi spazi aperti, forse proprio perché sento voglia di liberarmi dal sentimento di opprimenza che si respira nel mio ultimo film.

Ci dici qualcosa sull'uso delle musiche, o meglio di tutta la traccia sonora, di grandissimo interesse e per certi versi hitchcockiana? Gabriele Salvatores: La musica è un elemento fondamentale nel cinema e deve assolutamente rivestire un ruolo autonomo in un film e non un modo per riempire le immagini, come troppo spesso è usata. Alfred Hitchcock, anche da questo punto di vista, era un maestro assoluto; inarrivabile, come d'altronde anche il nostro Sergio Leone. Per questo film sono riuscito a levarmi una grande soddisfazione comunque:far registrare la colonna sonora in America dagli strumentisti di Philip Glass, quattro sassofonisti, un pianoforte, una chitarra elettrica e un contrabbasso.

Ci dite qualcosa sulla protagonista femminile? Gabriele Salvatores: Angela è un personaggio veramente molto interessante e per questo dobbiamo ringraziare Grazia che l'ha creata nel suo romanzo. E' una donna molto moderna, la definirei post-punk, per indicare questo suo essere erede di una cultura femminile, molto lontana da quella di un tempo: beve, fuma spinnelli e si sceglie i partner. Non che sia proprio Philip Marlowe, ma ha un gran carattere ed è politicamente scorretta. Allo stesso tempo è una figura dotata di una grande umanità e dolcezza. E' un tipo di donna che conosco bene essendo stata una compagna della mia vita. Questo mi ha certamente aiutato nel raccontarla.

Angela Baraldi: Io trovo sia a suo modo molto femminile, solo che questa sua femminilità è celata da una corazza che è il risultato delle sue esperienze e che gli fornisce questa sua indistruttibile amarezza. La durezza della vita le ha messo addosso questa sorta di mascolinità che in realtà fa molta tenerezza e comunica un enorme bisogno di consensi, specie da parte di suo padre, la sua figura maschile chiave in ogni senso. Spero di essere riuscita nel miglior modo possibile a dare vita a queste sfaccettature.

Che sensazione si ha nel vedere il proprio romanzo, adattato per il cinema?

Grazia Verasani: Premetto che ho visto il film solo ora e il mio stato emotivo è quindi decisamente alterato. Trovo sia un film essenziale, che sposa perfettamente quanto ho scritto. Gabriele è riuscito a mantenere ciò per cui avevo molto faticato: un racconto asciutto, tutto in sottrazione, al fine di colpire di più e con maggior realismo. Essendo una grande appassionata di musica posso dirvelo con delle metafore musicali: mi ha fatto pensare a Jaco Pastorius per questo fraseggio ricco di groove anche nei momenti più lenti. Inoltre alcune inquadrature di Angela mi hanno fatto pensare a Chet Baker per la malinconia che le caratterizza. Angela in fondo fa un percorso introspettivo: non è abituata a indagare su sé stessa e si rende progressivamente conto chela vita è un'indagine confusa con cui deve scendere a patti.