Recensione The Sentinel (2006)

The Sentinel è un film che parla ancora un linguaggio fatto di uomini duri e puri, eroi retorici intrappolati in un cinema dal senso dello spettacolo ridicolo, incauto e pacchiano; un po' triste e dal fiato cortissimo.

Salvate il presidente

The Sentinel di certo è benzina sul fuoco per chi crede che a Hollywood non sappiano più scrivere film, specie thriller. Se poi li girano con parti poco nobili del corpo come in questo caso, allora stiamo freschi. Eppure Clark Johnson è regista televisivo che avrebbe potuto portare in dote il modo di lavorare abile e veloce delle serie a sopperire l'assenza di un qualsiasi sguardo sulle vicende raccontate. Niente da fare invece, visto che qui si naviga proprio nel nulla assoluto.

Si è detto delle vicende narrate. Diamone un abbrivio: abbiamo un classico impeccabile agente dei servizi segreti americani (Pete Garrison: Michael Douglas), stimato da chiunque per aver salvato la vita vent'anni prima a un presidente Si alza da sempre alle quattro del mattino e al solito è un uomo dallo spiccato senso etico e investigativo. C'è solo un problemino: è innamorato della first lady che nelle fattispecie è Kim Basinger e ciò lo rende vulnerabile, tanto da poter essere incastrato dalla prima talpa della storia dei servizi segreti. In realtà la talpa è un bravo ometto che è costretto, per salvare la sua famiglia, a mettere il presidente nelle mani di vecchi esponenti del KGB russi per un accordo ancora in vigore. A chiarire l'intrigo il detective capo dei Servizi Segreti (David Breckinridge: Kiefer Sutherland), una volta miglior amico di Pete, fino a quando una faccenda di donne non li ha divisi.

Lasciamo perdere l'11 settembre, la paranoia del terrorismo e la nevrosi della società americana; non accantoniamo scuse: The Sentinel è un film nato vecchio, e uscito alla luce pare ancora più vecchio, tanto da generare sgomento e fastidio fisico. Non c'è nessun elemento di analisi - neppur involontario o forzato - della contemporaneità per un film che parla ancora un linguaggio fatto di uomini duri e puri, eroi retorici intrappolati in un cinema dal senso dello spettacolo ridicolo, incauto e pacchiano; un po' triste e dal fiato cortissimo. Spiace solo vedere Gerald Petievich - uno che qualcosa di importante sulla società americana l'aveva anche scritta con Vivere e morire a Los Angeles infognarsi così. Segno dei tempi probabilmente. Da evitare accuratamente.