Recensione Pornocrazia (2004)

Tutte queste provocazioni pseudo-porno ci appaiono esclusivamente come esempi di cattivissimo gusto di cinema puramente trash, che, con quel poco sesso abbondantemente mostrato, infarcito di messaggi e metafore, non va a soddisfare nè i fan dell'hard, né il semplice voyeur.

Rocco e i suoi monologhi

"Pornocrazia è un termine che i greci usavano per indicare l'influenza negativa delle donne in politica".

Giunta a Roma per incontrare la stampa, in occasione della sua ultima fatica, la seconda interpretata dal re incontrastato dell'hardcore made in Italy Rocco Siffredi (la prima fu Romance), la regista francese Catherine Breillat, accompagnata dal distributore italiano del film, Andrea De Liberato, ne ha spiegato il significato del titolo e, oltre ad affermare di essere contraria al doppiaggio (che effettivamente ha molto penalizzato Pornocrazia), paragonandolo all'atto dello scrivere sull'opera di un altro, ha spiegato: "L'oscenità in realtà non esiste, è solo una questione di sguardo, il regista la può definire al di là del film pornografico, per il quale essa esiste. Il mio film vuole essere una fiaba iniziatica, una sorta di teorema sull'oscenità".

Con una prima inquadratura all'insegna della trasgressione estrema, che mostra esplicitamente una fellatio tra due gay, inizia questa Anatomie de l'enfer (questo è l'altro titolo della pellicola) secondo la Breillat, che, alla Dante Alighieri, fa anche da voce narrante. Si entra poi nella discoteca, dove un omosessuale porta in salvo una bella ragazza che si sta tagliando le vene. Ed i due finiscono così in una casa isolata, che si affaccia a strapiombo sul mare, dove lui sarà costretto a guardarla, pagato da lei, là dove non si può guardare, nella sua intimità, perchè dello sguardo degli uomini è fatta l'oscenità delle donne.

La prima cosa che balza agli occhi è che Catherine Breillat dia molta importanza alle immagini, trasformando Amira Casar in una memorabile "Venere" su celluloide (a volte controfigurata) e facendo ricorso a scenografie povere che denotano la desolazione in cui i due personaggi vivono (perfino il loro primo rapporto orale viene consumato in una strada isolata), ma alla fine, tra dettagli ginecologici di bambine (motivo per cui la Eagle Pictures si è rifiutata di distribuire la pellicola in dvd) e la discutibile analogia tra il corpo nudo della protagonista e quello sanguinante del Cristo sulla croce, tutte queste provocazioni pseudo-porno ci appaiono esclusivamente come esempi di cattivissimo gusto di cinema puramente trash, che, con quel poco sesso abbondantemente mostrato, infarcito di messaggi e metafore, non va a soddisfare nè i fan dell'hard, né il semplice voyeur.

"A me piacciono sia i film lenti che quelli veloci, non mi piacciono i film brutti", ha affermato la Breillat, definendo con l'aggettivo "brutti" i film di divertimento, in quanto, non volendo essere né divertita, né distratta, preferisce i film che la facciano riflettere.
Probabilmente non si è resa conto che il suo lungometraggio, caratterizzato da ritmi terribilmente lenti, accentuati dall'onnipresente silenzio di fondo, ha suscitato non poche risate nel corso della proiezione stampa. Come si può infatti essere invitati a riflettere dinanzi allo sguardo impassibile dello stallone più famoso d'Italia che, alle prese con bevande al ciclo mestruale e manici di rastrello usati a mo' di fallo, tenta la carta dell'attore teatrale di lunga esperienza, filosofeggiando con frasi del tipo "La fragilità delle carni femminili impone il disgusto della brutalità"?