Recensione J.S.A. - Joint Security Area (2000)

Prima di Old Boy e delle altre pellicole che compongono l'ormai nota "trilogia della vendetta", Park Chan-Wook ha magistralmente diretto questo thriller giudiziario, adattamento del romanzo DMZ, di Park Sang-yun.

Ritratto di un'amicizia

Prima di Old Boy, e delle altre pellicole che compongono l'ormai nota "trilogia della vendetta", Park Chan-Wook ha magistralmente diretto questo thriller giudiziario, adattamento del romanzo DMZ, di Park Sang-yun.

Panmunjom, 38° parallelo. Nell'area di confine tra la Corea del Sud e quella del Nord, il capitano dell'esercito svizzero Sophie E. Lang (interpretata dalla stupenda Lee Yeong-ae) e un ufficiale svedese (entrambi della NNSC, la Commissione di supervisione delle Nazioni Neutrali), sono incaricati di indagare sull'omicidio di due guardie del Nord ad opera di un soldato del sud, Lee Soo-Hyuk (Lee Byung-hun). L'ambiguità delle testimonianze sarà ulteriormente aggravata dal suicidio di uno dei testimoni e dalla totale mancanza di collaborazione dell'unico ufficiale del nord sopravvissuto la notte degli omicidi.

Il complesso intreccio di JSA si srotola grazie l'abile gioco di flashback messo in scena da Park, che consente alla trama di spiegarsi lentamente, lasciando il dovuto spazio ad ogni componente narrativa che, evidentemente, si muove ben oltre i meccanismi noti del thriller. Man mano che proseguono le indagini della protagonista, la ricostruzione dei fatti, inizialmente caotica e confusa, prende forma in differenti prospettive e soluzioni stilistiche.
Le questioni politiche e i delicati rapporti tra le due Coree incombono sui vari protagonisti e le loro vicende, l'omertà e la paura appaiono sempre più forti di una qualsiasi verità che, come la grammatica del film, si frammenta in una moltitudine di punti di vista differenti. In questo modo gli interrogativi iniziali sulle dinamiche degli omicidi si estendono a quesiti più vasti e complessi, legati alla realtà di un paese spaccato in due.

JSA è un film cupo e malinconico, che ha come punto di partenza un tema ben noto in Corea; non sconosciuti alla cronaca sono infatti i casi di omicidio avvenuti nella delicata linea di confine, in particolare quello che, negli anni '70, trasformò la Joint Security Area, da zona libera e aperta, in area militarizzata e pericolosa per i precari equilibri diplomatici.
Campione d'incassi in patria, come Shiri di Kang Je-gyu, (la pellicola di analoga ambientazione uscita appena un anno prima) JSA suscitò però notevoli polemiche da parte dell'esercito al momento della sua distribuzione. Il tema politico è infatti trattato in modo più acuto e diretto, l'atmosfera tesa ed opprimente che avvolge la pellicola ricalca gli stati d'animo di un popolo costretto ad essere diviso, ed è proprio nell'abilità del regista di saper descrivere tanto lucidamente lo squarcio culturale del proprio paese che risiede il fascino del film. Senza mai tentare di commuovere a tutti i costi lo spettatore, JSA non racconta solo la storia di un'amicizia impossibile, ma le varie sfaccettature di una delicata situazione politica. Spiegati gli enigmi del thriller infatti, il film mostra i molteplici strati che lo compongono, dove sono i luoghi e i volti a caricarsi di significato, e i differenti (quanto simili) "perché" di ogni singolo e crudele gesto.