Riccardo Scamarcio si racconta al Napoli Film Festival 2010

Primo ospite della dodicesima edizione, l'attore italiano ha incontrato il pubblico del festival partenopeo, raccontando le sue esperienze ed i primi dieci anni carriera.

In una Napoli sonnolenta e parzialmente svuotata dai primi caldi di un'estate che sta iniziando, il festival partenopeo affronta le prime giornate della sua dodicesima edizione. Molta attenzione alla realtà locale grazie agli omaggi a Totò e Massimo Troisi, ma come sempre non mancano gli ospiti, nazionali e non, a dar vita alle serate del Napoli Film Festival: in attesa di Jonathan Demme ed Ennio Morricone, che animeranno le ultime giornate di questa edizione, e di Pupi Avati ed Isabella Ferrari che arriveranno in città nei prossimi giorni, spetta ad una delle giovani star italiane più popolari l'onore di inaugurare la sezione Incontri ravvicinati del 2010, Riccardo Scamarcio.
Nato a Trani, ma originario di Andria, dall'iscrizione al Centro Sperimentale di Cinematografia ed il successo di Tre metri sopra il cielo, fino al lavoro con Costa-Gavras ed alla recente candidatura al Nastro d'Argento per Mine vaganti e La prima linea, l'attore pugliese ha percorso i dieci anni della sua carriera rispondendo con dovizia di dettagli alle domande di Fabrizio Corallo che ha condotto l'incontro, tenutosi nell'Auditorium del Castel Sant'Elmo a Napoli.

Anche se ambivi a storie diverse e più mature, a cui sei poi arrivato, Tre metri sopra il cielo è stato sicuramente un punto di svolta della tua carriera. Cosa ricordi di quell'esperienza e degli esordi?

Riccardo Scamarcio: Intanto vorrei dire che mi sento in imbarazzo a ripercorrere la mia carriera: è la prima volta che capita e ringrazio per l'occasione. In effetti son passati dieci anni, evidentemente il tempo passa anche per me e questo incontro ne è la prova. Mi son trasferito a Roma a 18 anni per fare il Centro Sperimentale di Cinematografia, di cui ho scoperto l'esistenza in treno, parlando con una persona a cui ho detto che volevo fare l'attore. Il nome mi sembrava che facesse al caso mio, soprattutto per la parola "sperimentale", visto il mio andamento scolastico. Non l'ho finito, ma è arrivato Tre metri sopra il cielo che è stato il mio primo ruolo da protagonista. Lessi il romanzo, mi dissero che era uscito dieci anni prima e che aveva avuto un successo un po' bizzarro: pubblicato in poche copie e mai ristampato, ma nonostante questo sempre vivo. Mi proposero il ruolo di protagonista che era un eroe romantico, che poteva aveva le caratteristiche per poter creare empatia con il pubblico, un elemento secondo me indispensabile nel racconto cinematografico. Si ha sempre bisogno di un personaggio con cui identificarsi.

Da Tre metri sopra il cielo al seguito Ho voglia di te, cosa ha motivato l'interesse per il personaggio e per te come attore?

Credo che sia perchè questo film, come Il tempo delle mele, racconta il primo amore, quello adolescenziale. Credo che sia questo l'elemento forte, perchè sa raccontare questa esperienza in modo originale. Ho detto più volte che sono la Sophie Marceau del cinema italiano (scherza).

Dopo i primi ruoli in alcune fiction, tra cui Compagni di scuola, ed appunto il ruolo di Step, è arrivata l'occasione di Romanzo Criminale, un film che ha fatto epoca. Come è nata la collaborazione con Michele Placido?

Mi diedero il numero per chiamare Michele, perchè voleva incontrarmi per discutere la possibilità di un personaggio in questo film, di cui tutti parlavano e che tutti gli attori italiani volevano fare. Lessi il romanzo di Di Cataldo e lo trovai già scritto come se fosse un copione, poi chiamai Placido e lui era a Lecce, mentre io ad Andria, così mi invitò a trovarlo. Lo raggiunsi e mi unii a lui che era a mangiare con altre persone, poi uscimmo dal ristorante per parlare. Lui mi disse "Allora vuoi fare questo film...", ma mi fece molti problemi perchè secondo lui ero troppo magro e non adatto al personaggio, soprattutto per alcune scene, come quella della doccia. E' stato un tira e molla che è durato mesi, mi ha lasciato nel dubbio in un gioco sadico. Intanto presi anche lezioni di arti marziali per la scena che lo richiedeva, ma non mi ha mai dato la certezza che avrei fatto il film, mi hanno semplicemente chiamato un giorno per firmare il contratto ed il giorno dopo abbiamo iniziato a girare.

E' stata comunque un'esperienza importante, è un film destinato a restare.

E' stata un'esperienza difficile. Nel primo ciak del film, a Bologna, dovevo sparare a un uomo. Ero in preda al panico, perchè il primo giorno Michele ha fatto un po' di scena, ha terrorizzato tutti. L'uomo a cui dovevo sparare era l'assistente alla regia, che non è un attore, e continuava a interrompere la scena. Io mi limitavo a fare esattamente tutto quello che mi diceva, per non essere ripreso. Per fortuna è andata bene ed alla fine mi ha detto "Bravo, sei stato bravo. L'attore si vede anche in campo largo". E' stata un'esperienza formativa.

Con i ruoli successivi si è affermato il ruolo da "bello", a volte anche in modo ironico come ne L'uomo perfetto. Poi è arrivata l'esperienza importante di Texas, in cui hai conosciuto Valeria Golino e per il quale sei stato candidato al Nastro d'argento per la primva volta. Come è nata quell'esperienza?

Si è trattato di una serie di cose. Intanto per l'incontro con Fausto Paravidino, uno scrittore di teatro, commediografo, conosciuto anche all'estero, forse più che in Italia. Mi fece un provino per il ruolo di questo ragazzo piementose, di provincia, da cui arriva il titolo Texas per descrivere la provincia piemontese. Mi sembrava l'opportunità per partecipare ad un film d'autore che mettesse in luce aspetti di una parte della società. Ogni film ti lascia qualcosa e Texas lo ricordo come un momento straordinario. A volte i film hanno importanza anche mentre li fai, non solo per il risultato finale, ma per la vita sul set. Fare un film è come stare per due mesi in gita con decine di persone e fare con loro quest'avventura, che a volte è indimenticabile, ma a volte può essere anche terribile. Texas rappresenta un momento della mia vita in cui sono cambiato, a livello professionale, ma ancora di più a livello personale, umano. In senso egoistico ed individualista è quello che mi interessa di più.

Professionalmente, cosa ti piace di Valeria Golino attrice?

[Fa una pausa e ride]E che devo dire... Tutto! Nel senso che non riesco a scindere l'aspetto professionale da quello umano. Credo che gli artisti alla fine hanno a che fare con sè stessi, è quello che mettono in scena. Un'opera per essere definita artistica deve contenere l'essenza di chi la fa, ci deve essere la traccia inconfondibile che si può ricondurre soo a quella personale.

Ultimamente Valeria Golino ha debuttato nella regia con il corto Armandino e il Madre, girato a Napoli, prodotto da una neonata società di cui lei è fondatrice insieme a te ed un'altra napoletana. Ci racconti questa esperienza che ti ha visto per la prima volta come produttore, ma anche operatore della seconda unità?

L'idea nasce da un privato che produce pasta, la Pasta Garofalo, che ha proposto a Valeria di cimentarsi nella regia. Lo stimolo è arrivato da lì e Valeria, insieme alla sceneggiatrice del corto, è andata in questo museo stupendo nel cuore della città per raccontare il rapporta tra una giovane curatrice ed Armandino, un bambino rom. E' un modo per mettere in relazione due mondi così diversi che però possono comunicare, non solo quelli dei due personaggi, ma anche quello dell'arte e quello della città, che respirano insieme, nel contrasto tra la struttura del museo e quello della sua collocazione in un quartiere popolare.

Una tappa importante della carriera è stata la partecipazione a Mio fratello è figlio unico con Elio Germano, per la regia di Daniele Luchetti.

L'incontro con Daniele è stato molto bello. Mi ha offerto il personaggio ed abbiamo iniziato a confrontarci io, lui ed Elio. E' un film molto interessante, perchè Daniele voleva sperimentare con la macchia a mano, girare tutto così e costruire la scena in maniera assolutamente realistica, che per un film in costume, perchè ambientato negli anni 60 e 70, è importante ed inusuale. Anche per noi è stato molto stimolante, siamo stati molto liberi di improvvisare, perchè avevamo la libertà di muoverci come volevamo sul set. Ricordo che un giorno eravamo in un bar di Torino; io ed Elio ci siamo incontrati la mattina nel camerino ed abbiamo iniziato a discutere la scena ed abbiamo convenuto entrambi che serviva un abbraccio tra questi due fratelli che si erano maltrattati per tutto il film. Così abbiamo proposto a Daniele questa idea dell'abbraccio, e secondo me si è rivelato uno dei momenti emotivamente più forti del film. A volte i film prendono strade diverse grazie alla collaborazione tra gli attori ed il regista, ma può avvenire se c'è grande rispetto tra le parti.

Che ne pensi delle dichiarazioni di Germano a Cannes e delle polemiche che ha generato?

Io francamente non trovo polemiche le sue dichiarazioni. Capisco che per chi ha la coda di paglia possano esserlo, ma secondo me l'intervento di Elio è stato grandioso, perchè ha fatto un elogio a tutti gli Italiani che contribuiscono a fare questo paese più bello. Lo trovo un gesto di grande rispetto.

Avendo visto il film, quali sono secondo te le sue caratteristiche vincenti come attore?

Elio ha un talento specifico, una confidenza con la parola che è innata. Credo che sia la sua forza di attore. E' uno che si muove con disinvoltura e sa improvvisare come un musicista jazz, che sa suonare gli strumenti dell'attore, che sono il corpo e la parola, ed è capace di fare assoli jazz che ti lasciano impressionato. Ce lo siamo anche detti: siamo due attori diversi io ed Elio, probabilmente opposti. Inoltre è un collega straordinario, una persona con la quale si lavora benissimo.

Nella tua carriera hai anche dimostrato una curiosità onnivora, che ti ha portato a sperimentare. Hai lavorato in due occasioni con Giovanni Veronesi ed in un caso hai preso parte ad una scena che è rimasta nella memoria, insieme a Monica Bellucci. Si trattava però di commedie di grande successo commerciale. E' stata solo voglia di divertimento o anche voglia di sperimentare?

Veronesi nasce come sceneggiatore, ha lavorato con Nuti e Pieraccioni. Quindi di fatto conosce la commedia in modo perfetto, ed è anche un grandissimo attore. In più lavorare con lui è molto piacevole, io e lui abbamo un rapporto di amicizia e sul set ci divertiamo molto. La commedia, però, è difficilissima, riuscire a tenere quel tono brillante che richiede il genere è molto difficile ed una volta trovato il giusto equilibrio è difficilissimo tenerlo. Per me è stata una scuola lavorare con lui.

Come è avvenuto il contatto con Costa-Gavras?

Costa-Gavras aveva visto Romanzo criminale e Mio fratello è figlio unico e si è messo in contatto con me quando casualmente ero a Parigi. Quando mi ha chiamato sono stato inizialmente incredulo, ma lui voleva lasciarmi un copione e mi ha raggiunto in albergo. Leggendo la sceneggiatura di Verso l'Eden ho capito che mi aveva proposto il ruolo di protagonista del film, un emigrante che salta da una nave della speranza nei pressi della Grecia e si sveglia in un villaggio vacazne. Da lì inizia il suo viaggio che lo porta fino a Parigi. E' un film su noi occidentali, la storia di questo giovane ingenuo che non conosce il nostro mondo, che incontra questo mago, ne è affascinato e vuole raggiungere Parigi per ritrovarlo. E' un film che mostra come questi personaggi si rapportano con noi occidentali, che rappresenta l'uomo spoglio da qualsiasi appartenenza. Con Costa-Gavras mi sono trovato bene, è stata un'esperienza incredibile e abbiamo avuto una grande intesa. E' un autore che lavora come che non si lavora più, non guardava i monitor per avere un'idea del girato, ma era sempre vicino alla macchina da presa. Ha lavorato con i più grandi e mi sento onorato per quello che ha detto su di me. E' anche un grande conoscitore di cinema italiano, doveva fare un film sul caso Moro, ma gli mancavano degli elementi per affrontare l'argomento con la giusta profondità. D'altra parte mancano anche a noi, anche se ultimamente stanno venendo un po' di cose.

Non è mancato l'impegno politico in questi anni e sei tornato a lavorare con Michele Placido per Il grande sogno.

La storia era molto interessante perchè si focalizzava su una figura di poliziotto che ama il teatro, ma viene mandato nella facoltà di architettura per spiare i primi sintomi di quella che poi sarà la rivoluzione studentesca e lì si innamora di una studentessa. E' stato molto importante per me perchè si è trattato di un personaggio sfaccettato, con una parte romantica ed una ironica.

Placido è pugliese come te, ma hai avuto anche un altro sodalizio importante con un altro artista della tua regione, Sergio Rubini. Dopo Colpo d'occhio, avete girato L'uomo nero. Quali sono secondo te le caratteristiche vincenti di Rubini e cosa provi lavorando nella tua regione?

Non ho fatto molti personagig pugliesi, a parte questi con Placido e Rubini, e poi dopo con Ferzan Ozpetek. Con Sergio è stata una bella espeirenza, perchè è un regista che seguo da sempre. E' uno di quei registi che mi hanno dato la forza di resistere fin dall'inizio ed è stato un onore avere l'occasione di lavorarci insieme. Ha una cosa molto importante come regista: pensa e dà per scontato che tu sia all'altezza di quello che lui sta per chiederti. E' una cosa fondamentale, perchè non dimostra mai dubbi nei tuoi confronti. Si fida molto ed è un atto d'amore nei confronti dei suoi attori, che all'interno di un film hanno bisogno di un padre, di un pubblico che li guarda, che sul set è il regista. A teatro c'è un rapporto diverso con il pubblico, perchè è presente e permette uno scambio di emozioni e di energia. Ora, per esempio, sento la vostra presenza, sento che vi state rompendo le scatole (scherza).

Con Mine vaganti hai affrontato la commedia pura, accanto ad altri interpreti molto conosciuti. Come ti sei sentito a non essere protagonista assoluto?

Anche con Ferzan è stata un'esperienza bella, che però è nata con uno scontro violentissimo. Non abbiamo avuto grandi discussioni sul copione, tanto che non volevo neanche leggerlo, perchè volevo fare il film con lui, senza sapere nemmeno di che si trattasse. Però la prima fase delle riprese ci ha portati a discutere animatamente, perchè lui continuava a cambiare idea sul mio taglio e mi ha fatto ulteriormente accorciare i capelli anche dopo i primi giorni ciak, costringendoci a rigirare alcune scene. E' nata una lite terribile sul set, che ha preoccupato anche Domenico Procacci che era presente, perchè ho anche minacciato di lasciare il film. E' una cosa che non avevo mai fatto, ma per me è inaccettabile dover rigirare delle scene: una volta fatte, per me appartengono al passato. Comunque dopo quello scontro tutto è andato alla perfezione, evidentemente avevamo bisogno di quello sfogo per definire il nostro rapporto.

Il film è poi andato molto bene ed è stato venduto in 26 paesi, valendoti una candidatura ai Nastri d'Argento insieme alla tua interpretazione per La prima linea, che affronta una pagina nera della nostra storia.

Eì una storia che andava raccontata. Le polemiche erano inevitabili, perchè ci sono delle vittime, persone che hanno sofferto per mano dei protagonisti che raccontiamo. Ma non ho mai avuto dubbi che il film potesse essere un'opportunità, non tanto per ripercorrere quel periodo storico, per analizzare un momento di questo paese, ma per rappresentare e mettere in scena due esseri umani e raccontarne la condizione psicologica. Si trattava di due giovani, in un periodo dai 19 ai 23 anni, ed è stato interessante capire perchè due persone di quell'età abbiamo preso in mano una pistola per compiere gli atti che rappresentiamo. E' stata una sfida molto importante.

Ora stai girando una serie in sei puntate per RaiUno in cui interpreti un poliziotto e stai per tornare in teatro con una produzione di alto livello. Puoi anticiparci qualcosa di questi lavori?

Nella serie tv faccio un vice questore che viene spedito a Palermo, che è la sua città natale, perchè non rispetta le gerarchie. Si chiama Il segreto dell'acqua, è scritta da Umberto Contarello e diretta da Renato De Maria, ed è composta da sei puntate che raccontano un'unica storia. Il titolo si riferisce all'acqua in quanto elemento che si insinua ovunque. Quanto al teatro, avevo già fatto altri spettacoli, ma di fatto è un debutto perchè si tratta di una produzione di un certo livello, a cui non avevo mai preso parte. Farò Romeo e Giulietta a Roma, con debutto a febbraio al Teatro Eliseo. Mi sono detto: ho 30 anni, è l'ultima occasione per fare Romeo. Ma è stata soprattutto la voglia di ricominciare a spingermi, la voglia di riprovare le emozioni degli esordi. Proprio salendo sul palco a 16 anni, con il terrore negli occhi, mi sono innamorato di questa professione. Attraverso le esperienze che uno fa, il successo, i commenti ricevuto, si corre il rischio di adagiarsi e rilassarsi, invece bisogna mettersi sempre alla prova.