Recensione Surviving Progress (2011)

Prendendo spunto dal best-seller di Ronald Wright, i registi Mathieu Roy e Harold Crooks ci propongono una carrellata di pareri autorevoli, che indagano la definizione di progresso e offrono un'occasione per ripensare il nostro stile di vita, in modo da renderlo più coerente con la sopravvivenza della nostra specie.

Reinventare l'evoluzione

Si apre con un gran bella domanda, Surviving Progress: che cos'è il progresso? Non è che i due registi, Mathieu Roy e Harold Crooks non abbiano provato a rispondere: hanno interpellato psicologi comportamentali, fisici teorici, studiosi di economia, scrittori, e hanno interpellato soprattutto Ronald Wright, autore di A Short History of Progress, maggiore fonte di ispirazione del film. Eppure, nessuno di loro è stato in grado di dare una risposta. Piuttosto, è chiaro ciò che il progresso non è, e ciò che il progresso non è pare essere, ironicamente, è la prima cosa che tutti pensano sia: cercare di avere di più. Per due secoli e oltre di era industriale e post-industriale, la razza umana si è concentrata sul produrre: produrre più macchine, produrre macchine più efficienti, produrre macchine che producessero macchine e, dulcis in fundo, produrre macchine che producessero ricchezza. Macchine, in questo caso, dall'impatto prettamente fisico meno significativo rispetto a quelle tradizionali, ma altrettanto devastanti sugli equilibri del pianeta.

Se è vero, come è vero, che quello che differenzia l'uomo dagli altri animali è la sua capacità di chiedersi il perché delle cose, di andare dietro l'apparenza per scoprire le cause dei fenomeni a cui assiste, è altrettanto vero che la storia della civiltà umana, quel lasso di tempo in cui abbiamo deciso di fare parte di un contesto sociale, di rispettarne le leggi e gli obblighi, così come di usufruire dell'appoggio di una comunità, è davvero irrisorio rispetto alla totalità del nostro percorso evolutivo. E la teoria portata avanti da molti degli intervistati sostiene che il problema sia precisamente questo: il nostro cervello è ancora quello di quando cacciavamo i mammuth, non è progettato per rispondere a problematiche complesse come quelle che la vita contemporanea ci pone, insomma abbiamo un hardware obsoleto rispetto al software che vogliamo far funzionare. Non è sorprendente più di tanto, quindi, che la nostra specie abbia preso una brutta china, tanto da diventare l'unica al mondo a non lavorare per la propria autoconservazione. Siamo ancora quelli che pensano che ci sarà sempre un'altra mandria di mammuth da cacciare, che ci saranno sempre altre risorse, naturali o economiche, di cui sostentarci. E invece, così non è: fino agli anni Ottanta abbiamo vissuto degli interessi che il pianeta ci offriva: da trent'anni ne stiamo invece attaccando il capitale.

Ma, forse ancora più grave di quella nei confronti delle nostre risorse naturali, è considerata dai registi la spregiudicatezza con cui ci approcciamo all'economia. C'è il problema dell'ascesa economica della Cina, della domanda di un più alto tenore di vita da parte dei nuovi ricchi, ma quello che davvero rischia di far collassare l'intero sistema è la premessa su cui si fonda il nostro sistema finanziario, ovvero il debito. Dall'Impero Romano in avanti, gli Stati hanno perso la salutare abitudine di cancellare periodicamente il debito pubblico, in modo da resettare una situazione di stallo e far ripartire l'economia: ma noi, come drammaticamente riconoscono gli esperti chiamati in causa da Roy e Crooks, non possiamo farlo, perché quella attuale è l'unica possibilità che ci siamo dati, non esistono altri modi di vivere per noi. In pratica, siamo in un vicolo cieco.

I due registi, per quanto completa possa essere la carrellata tra le diverse discipline intellettuali che ci hanno proposto, non offrono però soluzioni al problema: gli equilibri che entrano in gioco sono troppo delicati e, come intelligentemente ribadito, coinvolgono snodi etici che non è possibile risolvere con una ricetta studiata a tavolino, posto che una tale ricetta esista. Quello che Roy e Crooks ci mettono sul piatto è una serie di domande, a volte di suggerimenti, per ripensare il nostro concetto di ricchezza, di sviluppo: non è certo la prima volta che si riflette sul futuro dell'uomo e sulle sue possibilità di sopravvivenza, ma raramente la problematica è stata indagata in maniera così articolata, così onesta, senza scadere nella trappola del sensazionalismo e senza gridare alla catastrofe inevitabile. Tutti sono d'accordo sulla necessità, per noi occidentali, di consumare di meno. Ma, a meno che non si vogliano seguire i suggerimenti di George Lucas o Stephen Hawking, trovando un altro pianeta compatibile con la vita umana e trasferendocisi senza indugi, quello che dobbiamo fare è dimostrare alla natura che si sbaglia: non siamo destinati a estinguerci in tempi brevi, come la situazione attuale fa pensare. Dobbiamo, insomma, essere in grado di reinventare l'evoluzione, prima di ritrovarci sottoterra con un bel "perché?" scritto sulla nostra tomba.

Movieplayer.it

3.0/5