Recensione Way Home (2011)

Un film, Way Home, che parla fondamentalmente d'amore, che non giudica e non parteggia ma semplicemente racconta in modo realistico e vero situazioni e stati d'animo in cui tutti nella vita potremmo ritrovarci improvvisamente immersi.

Quando amare è un po' morire

Hannelore sta annullando giorno dopo giorno la sua vita. Sposata da quarant'anni con Klaus, ha scelto di accudire in casa il marito malato di demenza senile. Ogni giorno lo lava, lo fa mangiare, gli cambia i pannolini, lo veste e lo mette a letto, una routine continua e inarrestabile che la sta annientando. Arrivata al cosiddetto punto di non ritorno Hannelore decide di buttarsi tutto alle spalle e di scappare di casa. Non sapendo dove andare decide di seguire di nascosto il suo vicino di casa, anche lui distrutto dal dolore per un grave lutto, diretto verso la casa delle vacanze sul Mar Baltico. Sorpreso dalla sua presenza, Günther è diffidente ma la accoglie in casa, scoprendo subito che come lui anche Hannelore convive con un dolore troppo grande da sopportare. Nel frattempo il figlio Heiko è costretto ad occuparsi del padre per la prima volta, senza avere la minima idea di dove sia finita la madre e senza riuscire più a comunicare con la sua compagna. Hannelore non ce la fa a tornare a casa, ma non riesce nemmeno a stare lontana dal marito che ha bisogno di lei per sopravvivere. Il distacco dalla sua tragica realtà la porterà anche ad un passo dal suicidio ma alla fine, grazie a Günther che condivide con lei questo momento di grande sofferenza, Hannelore tornerà a casa e affronterà le conseguenze del suo gesto, cercando in se stessa e nella solidarietà del suo nuovo amico, con cui ha tante cose in comune, la forza necessaria per iniziare un nuovo cammino al fianco dell'uomo che ama.

Scritto da un suo compagno di corso dell'accademia cinematografica, Way Home è il secondo lungometraggio del trentatreenne regista tedesco Andreas Kannengiesser e contemporaneamente anche la sua tesi di laurea. Figlio di una coppia che si è sposata il giorno del crollo del muro di Berlino in un grande momento di cambiamento per la Germania, Kannengiesser ha sempre nutrito un grande interesse per le diverse culture, una passione che l'ha portato fino in Bielorussia, negli Stati Baltici, in Israele e persino in Nicaragua, dove nel 2007 ha trascorso otto mesi per girare Planet Carlos, il suo film d'esordio presentato al Torino Film Festival nel 2008. Il giovane regista torna tre anni dopo a Torino con una storia del tutto diversa, incentrata sui rapporti familiari, sul dolore, sulla solitudine. L'amore è una grande responsabilità, lo sanno bene Hannelore e Heiko, una madre e un figlio adulto che si confrontano con la grave malattia del capofamiglia, lo sa benissimo anche Günther, un uomo che perde l'amore della sua vita e la voglia di proseguire il cammino da solo. Ma cosa spinge le persone a prendersi la responsabilità di accudire qualcuno a cui si è voluto tanto bene ma che ora non è più lo stesso? Perchè annullarsi e rinunciare alla propria libertà per dare alle persone che amiamo di vivere la propria malattia in casa piuttosto che in un ospedale?
Una storia narrata con uno stile asciutto e discreto che apre squarci nelle coscienze, che scuote, intenerisce e racchiude altre milioni di storie, che scava in profondità nell'animo umano cercando risposte a domande che fanno paura. Chi di noi sarebbe disposto e riuscirebbe a prendersi cura dei propri genitori malati in casa? Cosa accadrebbe se all'improvviso uno dei nostri cari si ammalasse gravemente e avesse bisogno di noi ventiquattro ore al giorno? Una tematica che il regista affronta da vari punti di vista, principalmente da quello di una donna ancora giovane che non riconosce più l'uomo che ha accanto e ha amato per tutta la vita, se non in rarissimi momenti, che non riesce ad accettare il fatto che lui non la tocchi più, che sia diventato per lei unicamente un peso da portare sulle spalle giorno dopo giorno. Ma è solo una faccia della medaglia perchè il figlio Heiko è un ragazzo che ha poco più di trent'anni e quindi appartenente a quella generazione che oggi si trova a dover pensare alla sua di vecchiaia, ad una pensione che non avrà, a combattere contro l'incertezza più totale, con lavori precari e con la mancanza di risparmi. E' forse per questo che quando il padre lo incalza chiedendogli se ha già fatto i compiti, Heiko lo guarda con gli occhi smarriti e colpevoli di chi sa di non aver dato il massimo e di non aver assolto al meglio i propri compiti di figlio. Un film, Way Home, che parla fondamentalmente d'amore, che non giudica e non parteggia ma semplicemente racconta in modo realistico e vero situazioni e stati d'animo in cui tutti nella vita potremmo ritrovarci improvvisamente immersi.

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3.0/5