Recensione Warm Bodies (2013)

Dopo aver dimostrato che si può sorridere anche della malattia in 50 e 50, Jonathan Levine prova a sconvolgere la natura stessa dello zombie dotandolo di una capacità autocritica, caustica e un po' sprezzante, oltre che di romanticismo.

Da zombilandia con amore

Se dei vampiri adolescenti possono liberamente circolare in pieno giorno e diventare vegetariani, perché mai negare una simile opportunità evolutiva ad un'altra categoria di non morti come gli zombie? Questo è l'interrogativo che devono essersi posti i produttori di Twilight quando, ormai costretti a chiudere la saga, hanno tremato di fronte alla possibilità concreta di perdere la loro gallina dalle uova d'oro. Nulla di meglio per arginare la crisi, dunque, che concentrarsi sulla ricerca di un nuovo intreccio amoroso dalle atmosfere giovanili in cui l'incontro fulminante tra il "mostro" di turno e l'umana ha lo scopo non solo di riproporre l'eterno modello di La Bella e la Bestia, ma anche di dimostrare come il potere del sentimento sia tanto inarrestabile da modificare la genetica e combattere perfino contaminazioni misteriose. Quindi, vista da questa prospettiva, sembra del tutto plausibile prendere l'intera mitologia costruita intorno alla figura degli zombie e piegarla, mutarla, fino anche a tradirla, per rispondere alle aspettative di un pubblico adolescente affamato di passioni contrastate. Anche questa volta, come nel caso dei vampiri di Forks, l'ispirazione arriva direttamente dalla letteratura o, per essere più precisi, da un racconto breve pubblicato con il titolo bizzarro "Sono uno zombie pieno d'amore" e poi trasformato dall'autore Isaac Marion nel romanzo Warm Bodies. Al centro di questo ennesimo colpo di fulmine a metà strada tra Giulietta e Romeo e Frankestein, c'è R, un giovane non morto che, nonostante deambuli lentamente come gli altri suoi compagni di sventura esibendo un'espressione costantemente attonita, sembra dotato di attività cerebrale arricchita da un imprevisto sense of humor.


Sarà per questo che, durante una "battuta di caccia", si lascia sedurre dal piglio guerriero dell'umana Julie, tanto da risparmiarla e salvarla dall'attacco famelico dei suoi compagni. Così, chiusi all'interno di un aereo ormai dimesso, i due iniziano a conoscersi, comprendendo come le differenze non siano poi tanto profonde e accarezzando il sogno di riuscire, attraverso l'esempio del loro amore, a far battere nuovamente i cuori immobili degli altri zombi. Tutto, naturalmente, sotto la minaccia di un virus che sembra aver definitivamente diviso l'umanità tra vivi e non morti. In questo modo Isaac Marion non è certo riuscito a surclassare il successo clamoroso ottenuto da Stephenie Meyer, diventata ormai dispensatrice ufficiale di sogni impossibili per tutte le sue giovani lettrici, ma si aggiudica un'omonima trasposizione cinematografica firmata niente meno che da Jonathan Levine. Ed è proprio la presenza del regista di 50/50 dietro la macchina da presa a offrire a questo prodotto, destinato ad una prevedibilità piuttosto ovvia, il piacere di un autoironia iniziale che proprio non ti aspetti. Perché, dopo aver dimostrato con 50 e 50 che si può sorridere anche della malattia grazie al carismatico Joseph Gordon-Levitt, Levine prova a sconvolgere la natura stessa dello zombie dotandolo di una capacità autocritica caustica e un po' sprezzante.

Un esperimento, questo, che riesce fino a quando l'elemento romantico non prende il sopravvento relegando l'ironia in un angolo sempre più remoto della vicenda nonostante l'evidente propensione alla risata del giovane Nicholas Hoult. Anzi, con il comparire sulla scena di Teresa Palmer, impegnata in una perfetta rivisitazione bionda e ugualmente imbronciata di Kristen Stewart, il tono del film cambia improvvisamente lasciandosi andare ad un sentimentalismo prevedibile e già ampiamente sperimentato con tanto di fuga e pericolo costante. Insomma, sicuramente nulla di nuovo sotto il cielo della cinematografia giovanile, se non un certo gusto voluto e ricercato per l'eccesso d'amore che, tra cuori pulsanti e chiari di luna di chiara ispirazione shakespeariana, dovrebbe coprire, almeno in parte, un messaggio piuttosto discutibile secondo cui la diversità necessita obbligatoriamente di cure.

Movieplayer.it

2.0/5