Recensione Vivan las Antipodas! (2011)

Victor Kossakovsky porta avanti per tutta la durata del film un tema affascinante, spesso abusando un po' di virtuosismi con la macchina a presa. Il risultato è uno spettacolare e sentito omaggio all'incredibile varietà offerta dalla Natura e dai suoi abitanti.

Il mondo capovolto

Alzi la mano chi, almeno per una volta, non ha mai pensato a cosa sta succedendo nell'esatto opposto del mondo in cui ci troviamo. E' una domanda che certamente si è posto Lewis Carroll, che infatti nel suo Alice nel paese delle meraviglie fa dire alla sua eroina: "Mi domando se potrei mai cadere attraverso tutta la terra? E' divertente immaginare di uscire dall'altra parte e vedere tutta la gente camminare a testa in giù.". Proprio questa immagine deve aver affascinanto non poco il documentarista russo Victor Kossakovsky che non solo apre questo suo Vivan Las Antipodas! proprio con una citazione di Carroll ma più volte letteralmente capovolge la macchina da presa proprio per mostrarci con grande effetto luoghi opposti della terra.

Si tratta di quattro coppie di antipodi geografici appunto, otto luoghi quasi "magici" che mostrano regioni del nostro pianeta che non potrebbero però apparire più differenti, come il caso emblematico del primo dittico formato dal villaggio di Entre Rios in Argentina e la metropoli cinese di Shangai: nel primo caso due fratelli traghettori raccolgono il pedaggio dai rari passanti, osservano la potenza di una tormenta e del fiume in piena o aiutano uno sfortunato guidatore spingendo l'auto e cercano di farla ripartire; agli antipodi invece un vero e proprio sciame di anonimi motociclisti, ciclisti e pedoni affollano quella che adesso è una delle città più popolose e industriose del mondo, tanto da coprire costantemente l'intera città in una foschia quasi perenne.
Le altre coppie sono altrettanto affascinanti anche se non così emblematiche: un piccolo chiosco nel Botswana contrapposto alla Big Island delle Hawaii; la costa neozelandese di Castle Point con il paesaggio montano di Miraflores in Spagna e la patagonia cilena con l'imponente lago Baikal della Russia. Spesso anche un po' abusando di virtuosismi con la macchina da presa (il regista è anche autore delle impressionanti riprese), Kossakovsky porta avanti per tutta la durata del film il suo tema: uno spettacolare contrasto di colori e paesaggi che in fondo non è altro che un sentito omaggio all'incredibile varietà offerta dalla Natura e dai suoi abitanti e sul modo così differente in cui noi esseri umani abbiamo deciso di abitare (e trattare) questo nostro fantastico pianeta.

Il difetto del film è forse proprio nell'esiguità di questo suo argomento: il seppur impressionante dualismo viene infatti ampiamente sviscerato dopo pochi minuti e a quel punto l'opera non ha molto più da offrire se non un numero, comunque considerevole, di immagini e sequenze a volte davvero mozzafiato, sia per bellezza che per valore simbolico: il paesaggio quasi alieno dovuto ai fiumi di lava dell'isola hawaiana, la trasformazione di un bruco in farfalla su un formazione rocciosa preistorica, l'arenarsi di una balena sulla costa neozelandese, la conseguente morte e la straziante sepoltura - sono tutti momenti che, lo scommettiamo, rimarranno molto a lungo nella memoria dello spettatore. Così come l'idea, semplice ma potente, che al nostro addormentarci c'è, dalla parte opposta del globo, qualcuno pronto a prendere il nostro posto per portare avanti questo mondo.

Movieplayer.it

3.0/5