Recensione Venuto al mondo (2012)

Venuto al mondo è un film che non soffre di facili sentimentalismi né rimane imbrigliato nella sua spiccata melodrammaticità, ma che nel tentativo di farsi portatore di messaggi di grandissimo valore umano e simbolico, finisce per lasciare esclusivamente in mano alle parole il potere di raccontare il doppio dramma, intimo e sociale, vissuto da ciascuno dei protagonisti.

Sopravvissuti alla verità

E' senz'altro un film ambizioso quello che ha visto Sergio Castellitto per la quarta volta dietro la macchina da presa. Per diversi motivi. Venuto al mondo, che fuori dall'Italia uscirà col titolo Twice Born, arriva in sala a quattro anni di distanza dall'uscita dell'omonimo romanzo scritto, come l'acclamato Non ti muovere, dalla moglie del regista Margaret Mazzantini e si percepisce chiaramente come i due siano rimasti profondamente coinvolti a livello emotivo da una storia che in realtà ha una gestazione assai più lunga di quattro anni e che porta con sé non solo gli strascichi di una guerra ma anche dinamiche amorose e familiari che sono difficili da guardare con distacco quando si affronta un viaggio professionale ed umano che va oltre l'esperienza del set.


A venire al mondo è Pietro (interpretato da Pietro Castellitto, figlio di Margaret e Sergio), un ragazzo che è cresciuto in Italia, a Roma, con la madre Gemma (Penelope Cruz) e con il padre adottivo (interpretato da Castellitto), ma che ignora la verità sulla sua nascita. Diciannove anni prima Gemma, una studentessa italiana, lasciava una Sarajevo in piena guerra lasciandosi alle spalle per sempre il marito Diego (Emile Hirsch), un fotografo americano conosciuto qualche anno prima e al quale aveva cercato in tutti i modi e a tutti i costi di dare un figlio senza riuscirvi. Fu in quel momento che i due innamorati incontrarono Aska, una giovane musicista disposta ad affrontare per loro la gravidanza tanto desiderata in cambio di denaro, ma il senso di colpa, la gelosia e le difficoltà di gestire una simile situazione cambiarono per sempre le cose tra Gemma e Diego. A vent'anni di distanza Gemma decide di tornare a Sarajevo con il figlio Pietro, e carica di ricordi degli anni della guerra viene accompagnata dal vecchio amico Gojko ad una mostra fotografica in memoria delle vittime dell'assedio realizzata con alcune foto del padre del ragazzo. Ad attendere Gemma nella moderna Sarajevo non è solo il ricordo di un amore che pareva più forte di ogni cosa e che poi è finito tragicamente, bensì le mille verità nascoste di una guerra che non ha avuto vincitori né vinti ma solo sopravvissuti.

E' sempre difficile trasporre in immagini un romanzo, ma l'impresa diviene ardua quando ad essere trasformato in un film è un racconto che tratta tanti temi e tutti di straordinaria rilevanza come la guerra, la maternità e la paternità, l'amore e l'amicizia. Castellitto ha dimostrato sicuramente un grande coraggio nel buttarsi in questa avventura ma anche di non aver avuto a disposizione la lucidità necessaria per dar vita ad un film equilibrato e non pervaso dalla retorica, per confezionare un'opera intensa e coinvolgente che potesse restituire allo spettatore le emozioni vivide, il realismo e la drammaticità di una storia inventata sì, ma che al suo interno contiene centinaia di migliaia di verità diverse e tante piccole vicende realmente accadute. Venuto al mondo non soffre di facili sentimentalismi né rimane imbrigliato nella sua spiccata melodrammaticità, ma nel tentativo di farsi portatore di messaggi di grandissimo valore umano e simbolico finisce per lasciare esclusivamente in mano alle parole il potere di raccontare il doppio dramma, intimo e sociale, vissuto da ciascuno dei protagonisti. L'uso del flashback poi non aggiunge nulla, anzi forse toglie qualcosa, ad una storia che poteva tranquillamente essere narrata in maniera lineare mentre il didascalismo e la teatralità di alcuni passaggi parlati, talvolta molto poco funzionali al racconto, finiscono col danneggiare l'efficacia delle interpretazioni degli attori protagonisti. Su tutti ovviamente Penelope Cruz e Emile Hirsch costretti, anche se solo a tratti, a raggiungere un livello recitativo dai toni esasperati e forzati anche nei momenti in cui un silenzio, uno sguardo o un'immagine fissa avrebbero potuto 'dire' di più. Un cast di grande livello, valorizzato dalle apparizioni di Luca De Filippo, figlio del grande Eduardo, che interpreta il padre della Cruz e di Jane Birkin, che nei panni della psicologa ci regala forse uno dei rari momenti veramente commoventi di tutto il film.

Co-produzione italo-spagnola concepita per essere promossa e distribuita a livello internazionale, Venuto al mondo non riesce mai a convincere pienamente né a coinvolgere emotivamente nonostante le ottime premesse offerte sia dalle tematiche affrontate dal romanzo che dalla partecipazione di un cast davvero di alto livello il cui unico neo è purtroppo rappresentato dall'interpretazione del giovane Pietro Castellitto, che appare in ogni inquadratura come un pesce fuor d'acqua. Complice della non riuscita del film anche una colonna sonora del tutto inadatta, come tempi e come selezione dei tanti brani, tutti splendidi se presi singolarmente, disposti lungo la narrazione in maniera pressoché casuale. Scelte di genere e di epoca musicale a dir poco discutibili che anziché rafforzare l'amalgama tra emozioni e immagini e trasportare lo spettatore nelle viscere della storia, finiscono per spingerlo troppo lontano dal contesto. Le musiche piaceranno anche al pubblico e meno alla critica, ma non è mai consigliabile piazzarle a caso qui e là senza che vi sia alcun legame figurativo o emotivo con le immagini che si stanno mostrando. Almodovar e Bellocchio, in questo senso e non solo, possono insegnare qualcosa. Restano negli occhi un bel finale ma anche la convinzione dell'onestà intellettuale del regista e della scrittrice e l'impressione che ci sia stato veramente qualcosa di forte dietro alla lavorazione di questo film, qualcosa che va oltre l'impegno professionale. Ma non possiamo esimerci dal constatare che Venuto al mondo non è il film che avrebbe potuto essere se ci si fosse concentrati di più sulla sostanza che sulla forma.

Movieplayer.it

2.0/5