Recensione Un giorno devi andare (2013)

In una società che considera la maternità come l'unica realizzazione di una donna, Diritti ci racconta che la vera completezza è quella di chi sa rapportarsi al qui ed ora della vita, senza lasciarsi sopraffare dalla freddezza o dalla carità stantia.

Venuta al mondo

Augusta è andata via dall'Italia. Dopo aver perso il bambino che aspettava e aver scoperto di non poterne più avere, è stata anche abbandonata dal compagno. La decisione di andare in Brasile assieme a Suor Franca, amica della madre, le sembra un modo possibile per uscire da quella desolazione senza fine; a bordo di una barca le due viaggiano attraverso i villaggi degli indios, piccole comunità che cercano di mantenere intatta la propria innocenza dagli assalti degli occidentali che vorrebbero snaturarli, inscatolandoli in anonime cittadelle. La crisi di Augusta però si acuisce e davanti alla certezza di essere "una piccola donna complicata al cospetto di professionisti della spiritualità", lascia la religiosa e inizia da sola un nuovo viaggio in una favela di Manaus. Lì incontra la giovanissima Janaina e suo figlio Paulo, e poi Joao, il ragazzo che torna a farle battere il cuore, e tante altre persone con cui riesce ad instaurare un rapporto di affetto profondo, diventando ben presto un punto di riferimento per il paese. Princesa, così viene chiamata per i suoi modi, modi che sanno essere risoluti e forti quando prende gli uomini del villaggio, gli trova un lavoro ben retribuito e divide con loro i profitti. Augusta rinasce e di fronte ad un nuovo, inaspettato dolore, la scomparsa del figlio di Janaina, venduto dal padre per pochi soldi, riesce seppur con fatica a non perdersi. Mentre Janaina va nel paese natio dell'amica italiana, un piccolo borgo innevato, Augusta si isola ancora di più, salvo poi arrendersi alla forza del più bello degli ospiti, un bambino che va a scuoterla dal torpore.


Quando si guarda Un giorno devi andare di Giorgio Diritti, la tentazione di dare un'occhiata all'orologio è forte; a volte si ha la sensazione di assistere a qualcosa che non è fondamentale conoscere, distante anni luce da uno spettacolo cinematografico, inteso in maniera canonica. Poi, quasi come fossero delle meravigliose epifanie, il regista illumina la pesantezza della vita mostrando dei gesti solo superficialmente senza valore, ma ricchi di senso e umanità; un abbraccio tra sconosciuti, una risata inaspettata, un pianto che 'certifica' lo scongelamento di un cuore troppo a lungo lasciato a sé stesso, in balia del dolore. E' la qualità del cinema di Diritti (tre soli lungometraggi all'attivo, tutti di grande maturità stilistica e narrativa), quella di lasciare intravedere tra le pieghe di una realtà oppressiva quel barlume di luce e speranza che appartiene solo agli esseri umani. Come scritto in precedenza, non è un film che fa del ritmo la sua arma principale, ma è anche giusto che sia così. Una vicenda come quella di Augusta non si risolve certo in gesta eclatanti o grandi colpi di scena, ma si muove lenta come il fluire ininterrotto di un fiume, le cui acque non sono mai le stesse, anche se all'apparenza può sembrare il contrario.

Assorto, quasi addormentato come la sua protagonista, il film cambia registro quando la donna, una misurata e brava Jasmine Trinca, decide appunto di andare, di addentrarsi da sola in un nuovo mondo, di separarsi non tanto dalla placida vita familiare, segnata dalla tragedia della perdita di un figlio, quanto dalla rassicurante figura dell'amica materna. E come la piccola protagonista di L'uomo che verrà (ri)trova la sua voce, quella di una futura donna, cullando il fratellino sottratto alla violenza della guerra, così Augusta torna a 'sentire' stringendo le mani dei bambini che conosce e con cui si diverte a suonare i piatti del padre, ascoltando le confidenze tra donne, ballando la domenica o giocando partite a calcio. Non tutto è perfetto nel lavoro di Diritti che in qualche punto gira a vuoto, ma sono difetti che non influiscono sulla totalità di un'opera che riesce a mostrare la bellezza della complessità femminile; in un mondo che considera la maternità come l'unica realizzazione di una donna, Diritti ci racconta che la vera completezza è quella di chi sa rapportarsi al qui ed ora della vita, senza lasciarsi sopraffare dalla freddezza o dalla carità stantia.
La carità di quei missionari che parlano di trapianto al cervello come pratica necessaria all'evangelizzazione, perché certi indios non hanno il senso del peccato, non provano vergogna del proprio corpo e della propria nudità. Al di là di questo discorso che è fortunatamente solo una parte del film, sostanziosa ma non sostanziale, l'opera mette bene in correlazione questi due universi così distanti; un'Italia rattrappita (la location è il Trentino Alto Adige) con la giungla amazzonica, una famiglia matriarcale, in cui poche sono le tenerezze e una società dove la donna è spesso vittima, ma sa anche essere creatura fiorente, fantasiosa, vitale, accogliente; Augusta non è un punto d'incontro, ma solo colei che sa prendere il meglio da tutto. Inizia a leggere In attesa di Dio di Simone Weil, ma forse il seme che è stato piantato nel suo cuore ha origini tutt'altro che divine.
E di quell'affettività ritrovata, che fa capolino in una miriade di piccoli momenti, l'autore bolognese è un dolcissimo e ispirato cantore. Le lacrime versate dalla protagonista durante una videochiamata con la madre, tanto insistente e pressante con quella figlia in fuga, quanto fredda nel rifiutarne una chiamata, dicono di una distanza colmata. Così come la morbidezza con cui Augusta si lascia andare al rapporto con quel ventenne così tanto diverso da lei, rappresenta il ritorno di un desiderio fino a quel momento mortificato. In questo incessante e inevitabile movimento, Diritti non è mai didascalico, ma si abbandona egli stesso alla sorpresa, a quel mistero sconosciuto, accompagnando la sua eroina nella ricerca di una sana solitudine, di una forza che torna a pulsare, esattamente come quando si nasce. E nell'epilogo non ci meraviglia allora vederla giocare con il bambino sulla spiaggia, semmai ci ritroviamo a sorridere con lei. E' una sequenza così bella, nella sua semplicità, da essere il perfetto controcanto alla separazione che si sta invece consumando dall'altra parte dell'Oceano, dove l'incantevole Janaina saluta un'anziana signora deceduta nell'ospedale in cui è ricoverata la nonna di Augusta, ringraziando poeticamente ogni singola parte del suo corpo per aver vissuto con pienezza.

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4.0/5