Recensione The Husband (2013)

Quella dell'autore canadese è un'opera in bilico tra dramma e commedia che riesce a far sorridere e riflettere e che tuttavia avrebbe meritato un epilogo più coraggioso e meno convenzionale.

Henry, pioggia di lacrime

Henry non sopporta più lo sguardo delle altre persone; da quando l'amata moglie è finita in galera per aver fatto sesso con Colin, un quattordicenne suo allievo, l'uomo riesce a sentire sulla pelle le risatine dei vicini di casa, i commenti di scherno dei colleghi di lavoro. E' una vittima, punto e basta. Fa del suo meglio per crescere il figlio di pochi mesi, Charlie, per non fargli sentire la mancanza della madre, ma non sempre riesce nell'intento. Perché la mente corre continuamente a quel giorno in cui la consorte consumò il tradimento con uno sbarbatello, un'ossessione che non lo abbandona, che non lo fa dormire, che lo rende rabbioso. L'unica soluzione sembra essere quella di andare alla radice del problema e inizia a pedinare il giovane studente; niente di morboso, s'intende, solo un vetro della macchina spaccato, qualche scritta irriguardosa. La situazione precipita però quando Henry si introduce nella casa del ragazzo per scambiare qualche parola con lui; ottiene solo un paio di pugni dal padre di Colin che rifiuta di sporgere denuncia perché comprende il dolore di quel povero diavolo. Ancora una volta, Henry è stato guardato con pietà, ma quel gesto chissà quanto generoso lo spinge a riconsiderare tutto l'accaduto e riaccogliere in casa la moglie, appena uscita di prigione.

Tra i pregi di The Husband, pellicola diretta da Bruce McDonald e presentata al Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile, c'è il giusto equilibrio nei toni del racconto; quella dell'autore canadese è un'opera in bilico tra dramma e commedia e riesce a far sorridere e riflettere. Il regista ci chiede di mettere da parte ogni giudizio sulla vicenda e di non operare distinzioni tra buoni e cattivi. E' un metodo che applica egli stesso per narrare la storia di Henry e della moglie. Com'è facilmente intuibile dal titolo, l'obiettivo della macchina da presa si concentra interamente sul protagonista, sui suoi tormenti interiori, le crisi fortissime, gli atti di vero affetto e gli scoppi di ira,che tuttavia non lo spingono mai ad allontanarsi da suo figlio, né a diventare sua volta colpevole. Nell'ostinata richiesta di un dialogo col suo 'carnefice' c'è solo il desiderio di comprendere nel profondo qualcosa su cui probabilmente non riuscirà mai a fare luce. Perché il tradimento della moglie è più o meno accettabile, averlo consumato con un adolescente, per di più suo allievo, no. Gli umanissimi tormenti di Henry, il suo rincorrere una verità scomoda, l'assenza della ricerca morbosa dello scandalo a tutti i costi (pericolo incombente, dato l'argomento) a parere nostro rappresentavano già un materiale narrativo sufficiente per creare un buon film, cosa che The Husband è, per questo l'epilogo idilliaco finisce per stonare e non sembra la chiusura più giusta per una storia diversa. Davvero bravo il protagonista, Maxwell McCabe-Lokos, occhi spiritati e andatura curva.

Movieplayer.it

3.0/5