Recensione The Gambler (2013)

Ignas Jonynas ci propone un ritratto angosciante e disperato della profonda crisi morale di una nazione nata dallo scioglimento dell'URSS, attraverso la storia di un uomo distrutto dalla passione per il gioco.

C'è poco da dire sulla vita di Vincentas. E' uno dei medici più preparati dell'ospedale per cui lavora, tuttavia la sua passione più grande è quella per il gioco d'azzardo; un amore che si trasforma ben presso in ossessione deviando per sempre il corso della sua esistenza. Per racimolare in fretta i soldi che deve restituire ai creditori, organizza una serie di scommesse clandestine nel suo reparto, spingendo il personale paramedico e gli infermieri a puntare sui pazienti ricoverati. Esattamente come succede per una qualsiasi scommessa sportiva, Vincentas stabilisce delle quote precise per ogni tipo di patologia. Alla morte del paziente, gli scommettitori vincono il denaro puntato.

Il meccanismo è infallibile e conquista subito i colleghi dell'uomo che non si fanno alcun tipo di scrupolo, bramosi di ottenere subito un guadagno facile. Quando Vincentas si innamora di Ieva, una collega con un figlio a carico gravemente ammalato, l'uomo inizia a riconsiderare l'intera faccenda, spinto dalla donna a scegliere tra amore e gioco. La colpa di Vincentas è quella di non avere la forza di decidersi una volta per tutte, sottomettendosi ad un destino beffardo e malevolo.

Scommessa con la morte

The Gambler: una scena di gruppo del film
The Gambler: una scena di gruppo del film

Fa piacere che in Italia possa trovar spazio la sorprendente opera prima del lituano Ignas Jonynas, The Gambler, film che verrà distribuito in lingua originale con sottotitoli italiani dalla Imagica Original di Aldo Ciolfi e Giulio Giuliani. Ed è una soddisfazione legata alla possibilità di scoprire una cinematografia relativamente nuova e per confrontarsi con temi di valore universale, mostrati però con sguardo originale e partecipe. L'autore sfrutta l'appiglio della dipendenza dal gioco d'azzardo per raccontare lo sbandamento di una generazione, cresciuta dopo lo scioglimento dell'Unione Sovietica, privata di quei valori che credevano giusti (quindi mai messi in discussione nel profondo), sostituiti in maniera repentina da un capitalismo disumano e annichilente. Prima repubblica baltica a liberarsi dall'URSS, la Lituania raccontata da Jonynas è l'emblema di una nazione schiacciata tra due scuole di pensiero antitetiche eppure simili nel negare la vera realtà umana.

Umiliati e offesi

The Gambler: una scena tratta dal film
The Gambler: una scena tratta dal film

Il quadro morale delineato dal regista è desolante e Jonynas ce lo mostra subito, senza giri di parole. La prima urgenza che il protagonista, un eccellente Vytautas Kaniusonis, deve fronteggiare è quello di un'adolescente che si è sentita male in un'orgia. Un caso, quello della sedicenne in fin di vita, sfruttata da un sedicente artista, che non muove a compassione Vincentas. Anche i suoi colleghi non scherzano; giocano a dadi mentre un cadavere giace in ambulanza e prendono regolarmente soldi dalle agenzie di pompe funebri per passare loro dei clienti. Vincentas insomma è solo la punta di un iceberg di una degradazione etica profondissima e la passione per il gioco diventa l'ideale realizzazione di questa deriva, ancora di più se si scommette sulla vita di altre persone. Il controllo totale sull'altro (che poi è eliminazione totale) si esercita attraverso una tirannia egoistica che dà potere, un potere vuoto e violento.

Il demone

E' un enigma Vincentas, un uomo che dovrebbe lavorare per il bene degli altri e che invece si comporta come un criminale di mezza tacca. Cosa può salvarlo allora? Il rapporto con la donna (Oona Mekas, figlia del grande regista Jonas Mekas), verrebbe da pensare, ma quando anche questo sentimento puro e incondizionato viene sgretolato dall'egoismo e dal dolore, i risultati possono essere devastanti.

Gli uomini, non soltanto alla roulette ma ovunque, non fanno altro che togliersi o vincersi qualcosa reciprocamente.

Sono parole di Fedor Dostoevskij che alla figura del giocatore ha dedicato uno dei romanzi più belli della narrativa dell'800, un campionario delle più svariate patologie legate al tavolo verde, di cui per primo soffrì. Nell'ottica dell'homo homini lupus non appare così abominevole (non agli occhi di Vincentas) scommettere su quelli che possono morire. Nessuno ci vieta di pensare, a questo punto, che le morti possano essere pilotate con lo scopo di vincere. Nella film non succede, ma il dubbio che l'autore ci instilla è più opprimente di qualsiasi realtà.

Un inverno senza fine

Il film è girato con uno stile secco, asciutto, che sa drammatizzare gli spazi senza concessioni ad una facile spettacolarizzazione e con un sapiente uso delle luci tutte giocate sui toni glaciali del bianco. Interessante anche il lavoro sul 'genere'; Jonynas sembra voler sfruttare le chiavi narrative del noir per poi allontanarsene, contaminandolo con la black comedy, grazie ad un'ironia che stempera i momenti più difficili da sostenere; come quando Vincentas si trova, sogghignando, a guardare un gruppo di potenziali vittime del suo gioco o nella scena in cui viene mostrato l'incidente che coinvolge uno dei colleghi dell'uomo, il primo vincitore della riffa e anche il primo medico a diventare a sua volta partecipante "passivo"della "lotteria". Come nel bellissimo Il caso Kerenes l'apparente freddezza delle immagini contrasta con la materia incandescente che racconta, la ferocia di certi essere umani, ma anche l'intrinseca capacità, tutta umana, di provare a riscattarsi. Bellissima, in tal senso, la sequenza in cui Vincentas e Ieva mangiano all'alba un'anguria, un attimo di condivisione vera tra un uomo e una donna, che li isola dalla bruttezza che li circonda. Spetta alla libera scelta di ognuno, decidere quale strada prendere.

Conclusione

Glaciale nell'aspetto, ma tutt'altro che freddo, il film di Jonynas è un viaggio senza ritorno nell'inferno di un uomo che ha scelto di non sperare più un nulla, un giocatore che rischia tutto, in un lancio di dadi, sapendo di non aver diritto a niente. Un'opera che è la riuscita metafora di una società in crisi di identità, che deve lavorare ancora tanto per arrivare a quell'umanità perduta.

Movieplayer.it

3.5/5