Recensione The Canyons (2013)

Approda al Lido, fuori concorso, l'atteso film-scandalo di Paul Schrader scritto da Bret Easton Ellis: The Canyons vuole essere una ricognizione su ambiguità, macchinazioni e giochi di potere dell'ambiente hollywoodiano, che però scivola nel kitsch e annoia.

Sesso, bugie e poco cinema

Hollywood, ai giorni nostri. Il giovane produttore Christian sta facendo il casting per il suo nuovo film, un prodotto di genere che dovrebbe risollevarlo dalle recenti difficoltà finanziarie. Christian decide di ascoltare la segnalazione della sua amica Gina assumendo, in un ruolo importante, il di lei giovane compagno Ryan, attore poco noto che cerca l'occasione di una vita. La cena che suggella l'accordo, in cui sono presenti, oltre a Ryan e Gina, Christian e la compagna di questi, Tara, attrice che ha rinunciato a recitare, si rivela più tesa del previsto. Dal passato dei quattro iniziano ad emergere eventi e segreti inconfessabili, in parte focalizzati sulla passata, e mai rivelata, relazione tra Ryan e Tara. La gelosia, il carattere instabile e la brama di potere di Christian, finiranno per trascinare i quattro in un vortice inarrestabile di inganni e violenza.


L'atteso film-scandalo (qualsiasi cosa ciò voglia dire) di Paul Schrader è finalmente approdato al Lido. La curiosità (mista a scetticismo) più che originata dall'assistere alla nuova regia di uno dei protagonisti della New Hollywood, derivava dalle peculiarità del plot (una miscela di sesso e potere nella Mecca di Hollywood), dalla sceneggiatura di Bret Easton Ellis, nonché dalla presenza, come coppia protagonista, del pornodivo James Deen e della ex bambina prodigio di Hollywood Lindsay Lohan. Le traversie produttive, che hanno visto un drastico ridimensionamento del budget, nonché i poco lusinghieri giudizi d'oltreoceano, hanno aumentato lo scetticismo su questo The Canyons, opera che ha goduto di un raro hype negativo per la sua presentazione veneziana: nonostante ciò, il film di Schrader parte bene, con una serie di suggestive inquadrature in bianco e nero su sale cinematografiche dismesse, in sobborghi hollywoodiani dall'aspetto spettrale che riecheggiano le scenografie de L'ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich. Quando, poi, si immerge nella sostanza della storia, il film mostra tutti i temi cari ad Ellis: il potere, l'ambiguità delle pulsioni sessuali, la vacuità degli status symbol borghesi, uniti alla celebrazione della morte (metaforica) del cinema, nell'oggetto di un film che si fa semplice strumento per le diverse macchinazioni dei protagonisti.

Tuttavia, la sceneggiatura di Ellis sceglie di complicare inutilmente quella che è una storia semplice (persino banale, diremmo) incentrata sostanzialmente sulla gelosia e sulla disperata brama di potere di un figlio della upper class americana. Il contorno di personaggi inutili (tra i quali lo psichiatra interpretato da Gus Van Sant) non aiuta lo script a focalizzarsi sui suoi temi portanti, accompagnando la graduale deriva nel kitsch della vicenda: aumentata, di suo, dalle poco esaltanti prove attoriali di un Deen a tratti involontariamente comico, e di una appesantita Lohan, il cui riscatto artistico, dopo le note vicissitudini legali, tarda ancora a giungere. E' l'affresco generale proposto da Schrader ed Ellis a non convincere, al di là di una componente erotica in realtà solo accennata: se si voleva raccontare la morte del cinema, schiacciato dall'avidità personale, e dalle debolezze e crudeltà dei suoi protagonisti, si doveva scegliere un registro diverso. In realtà, se è vero che dal film emerge la natura di semplice mezzo (anziché di obiettivo) dell'ipotetica pellicola da cui tutto muove, è vero anche che questa componente resta slegata dal cuore della narrazione; questa, già dai primi minuti, non fa che mettere in scena un debole intrigo di gelosie e tradimenti, animate da personaggi poco più che macchiettistici, e contrappuntata da scene di sesso (poche) che sembrano semplici concessioni al gusto kinky del progetto.
La reazione della platea stampa veneziana, che ha subissato i titoli di coda del film di fischi e risate, è probabilmente eccessiva. Non è, The Canyons, lo scult tale da provocare sberleffi e ilarità, né il maldestro tentativo di provocazione che meriti una derisione tanto spinta: è semplicemente, nella sua realizzazione, un film non riuscito, che tenta di mettere in scena un certo mondo, e il suo contesto sociale, attraverso la sovra-esposizione grottesca. Non funziona, e la sua messa in scena provoca noia anziché scuotere. Dirlo, al netto del rispetto che continuiamo a provare per un cineasta come Schrader (e per la sua carriera) ci sembra comunque doveroso.

Movieplayer.it

2.0/5