Recensione Sul vulcano (2014)

Un documentario corale ed elegante offre uno sguardo inedito su Napoli attraverso un'ode al suo custode e carnefice, il dio pagano Vesuvio.

Uno sguardo su Napoli diverso dal solito, lontano dagli stereotipi che avvolgono il capoluogo campano. Gianfranco Pannone punta l'obiettivo sulla propria città natale per raccontare uno dei suoi simboli, il Vesuvio, quel vulcano la cui ira, manifestatasi periodicamente nel corso dei secoli, ha reso la terra fertile, ma ha anche 'punito' gli abitanti. Questa divinità pagana ancora oggi attira e intimorisce visto che, pur essendo in attività, le sue pendici sono una delle zone a più alta densità abitativa d'Europa.

Il fatalismo napoletano spinge i locali a tenersi buono questo idolo sputafuoco, momentaneamente in stato di quiescenza, stabilendosi il più vicino possibile ad esso senza preoccuparsi delle eventuali conseguenze di un'eruzione. Questo è uno dei temi sfiorati da Sul vulcano, documentario lirico in cui Pannone, con grande eleganza, affronta indirettamente mali e bellezze della sua terra ritraendone il celebre vulcano. Tra i tanti testimoni le cui interviste costellano una pellicola riflessiva ed estetizzante, il regista si focalizza su tre persone che diventano punti di vista privilegiati nella relazione tra i napoletani e il Vesuvio.
Si tratta di Maria che, insieme al marito, gestisce un azienda florovivaistica ai piedi di una villa vesuviana in abbandono, di Matteo, pittore che crea dipinti usando la lava, e di Yole, cantante neomelodica proveniente dai bassi che ha scelto di dedicarsi alla musica per sfuggire al mondo della criminalità.

Sacro e profano

Sul vulcano: nuvole minacciose sul Vesuvio in una scena del film
Sul vulcano: nuvole minacciose sul Vesuvio in una scena del film

I tre personaggi scelti con sapienza da Gianfranco Pannone gli permettono di mostrare lati inediti di una città nota per il calore e la vivacità dei suoi abitanti, ma anche per il chiasso, il traffico, la camorra e i mille mali che la affliggono. Pannone immerge i testimoni privilegiati nel loro habitat restituendone colori e atmosfere con l'aiuto di immagini e musiche ad ccompagnare le loro voci così, quando è Maria a parlare, ci troviamo immersi in un'idilliaca atmosfera rurale fatta di sole, natura e silenzi, un luogo fuori dal tempo riconoscibile solo grazie al profilo del Vesuvio che si staglia sullo sfondo, mentre Yole ci accompagna nella sua attività canora tra riti e cerimonie religiose che ben rendono l'idea di come i napoletani vivano la loro profonda devozione alla Madonna in modo sincero, ma folcloristico, mescolando sacro e profano. Come conferma lo stesso Pannone, grande è l'attenzione alla scelta dei personaggi attraverso le cui parole filtrano sguardi, giudizi e riflessioni sulla Napoli di ieri e di oggi; i testimoni posseggono una compostezza inedita rispetto all'immagine stereotipata e un tantino razzista del 'napoletano tipo' offerta dai media, una malinconia legata alla precarietà dell'esistenza in questa regione.

Nelle varie interviste vengono sfiorati temi come l'abusivismo edilizio, l'influenza della camorra, la corruzione, il problema della discarica alle pendici del Vesuvio e dello smaltimento dei rifiuti che ha reso Napoli tristemente celebre, senza però approfondire questioni già note a tutti. L'intento di Sul vulcano è assai più ambizioso.

Il Dio Vesuvio

Sul vulcano: Matteo, uno dei protagonisti, in una scena del documentario
Sul vulcano: Matteo, uno dei protagonisti, in una scena del documentario

A intervallare i ritratti in movimento dell'area vesuviana e della vita dei suoi abitanti Gianfranco Pannone colloca immagini di repertorio che mostrano le eruzioni del Vesuvio avvenute nel XX secolo. Queste spettacolari sequenze sono accompagnate dalla voce di importanti attori legati a Napoli, come Iaia Forte, Fabrizio Gifuni, Toni Servillo, Donatella Finocchiaro, Leo Gullotta, Renato Carpentieri ed Enzo Moscato, che recitano passi di opere letterarie in cui si parla del Vesuvio.

Si va così da La pelle di Curzio Malaparte e Juliette del Marchese De Sade al celebre La ginestra di Leopardi o al brano delle Lettere a Tacito in cui Plinio il Giovane racconta l'eruzione del 79 d.C. in cui perì lo zio, fino alle opere di Matilde Serao o Sandor Marai, in un collage di frammenti in crescendo che rievocano miti, leggende, cronache, drammi e ironia ben rappresentando le mille anime del Vesuvio. A conclusione del documentario, accompagnato da musiche suggestive che, accostando le celestiali armonie del Barocco napoletano al sax nervoso di Daniele Sepe, identificano un mondo e un luogo ben connotato, ma al tempo stesso universale, Pannone pone una carrellata di volti che fissano la macchina da presa. Facce che rappresentano le mille anime di una città persa tra tradizione e modernità, tra arretratezza e sguardo al futuro, tra fede e superstizione. Prima di questo suggestivo finale, però, l'ultimo blocco di documentario è dedicato a Pompei, quella città scolpita nella lava e conservata alla perfezione dal sangue del vulcano, distruttore e custode al tempo stesso, che ora si sgretola giorno dopo giorno a causa dell'incuria. Simbolo delle vette di bellezza e di armonia di cui è capace l'intelletto umano, che oggi è responsabile della sua distruzione. Ecco che fine hanno fatto "dell'umana gente le magnifiche sorti e progressive".

Conclusioni

Un documentario corale ed elegante offre uno sguardo inedito su Napoli attraverso un'ode al suo custode e carnefice, il dio pagano Vesuvio.

Movieplayer.it

3.5/5