Recensione Sentirsidire - quello che i genitori non vorrebbero mai (2011)

Concentrato su di un racconto di insofferenza giovanile dall'animo universale, Giuseppe Lazzari costruisce una storia di disagio rivolta ad un ambito famigliare deciso a non alleggerire coscienze da troppo sopite. Da qui i riferimenti non certo velati alla prostituzione e all'abuso infantile che, gestiti con realismo, trasformano la cronaca in un racconto dal gusto un po' naif.

La gioventù invisibile

L'infanzia non sempre è un luogo rassicurante in cui rifugiarsi prima di affrontare le difficoltà dell'età adulta. Spesso composta di solitudini, silenzi e violenze inaspettate è il primo luogo dove sopportare punizioni fin troppo esemplari. Questa è la realtà affrontata da Filippo, ragazzino siciliano alle prese con la brutalità del branco, e da Ludovico, figlio ignorato dell'alta borghesia bresciana. Forgiato dalla ruvidezza della povertà il primo e dalla freddezza affettiva del benessere il secondo, entrambi vivono un dolore cui non riescono a dare un'identità. Così, trasformati in giovani uomini dalle aspettative e dalle prospettive diverse, finiscono per intrecciare le loro strade lungo i viale della prostituzione. Trasferitosi a Milano con la famiglia per inseguire il sogno di un lavoro degno di una laurea in Ingegneria, Filippo si trova costretto ad affrontare la natura sconosciuta della città e l'improvvisa perdita del padre. Diversi i motivi che spingono Ludovico ad allontanarsi da Brescia. Esiliato da una famiglia sorda e cieca di fronte alle sue evidenti difficoltà quotidiane, emigra sulla sua macchina di lusso verso una realtà imprevista. Per la prima volta privi dell'appoggio paterno, affettivo per Filippo e economico per Ludovico, affrontano la vastità di una solitudine emotiva ormai innegabile lungo i sentieri notturni di un parco per scoprire, ancora una volta, l'impietosa indifferenza del mondo.


Nell'era dei social network e della comunicazione globale anche il cinema sta cambiando lentamente volto. A raccontarci la potenza di questa nuova realtà ci ha già pensato il film di David Fincher, ma è con Sentirsidire - Quello che i genitori non vorrebbero mai che si passa dalla finzione all'esperienza diretta. Fermo ai blocchi di partenza per più di un anno causa inconvenienti distributivi, l'esordio di Giuseppe Lazzari riesce a raggiungere la visibilità del grande schermo grazie soprattutto alla colossale richiesta del popolo di Facebook e You Tube che attira l'interesse della Universal. Ma qual è stata la scintilla capace di accendere tanto entusiasmo intorno ad un progetto indipendente dalla dubbia riuscita? Indubbiamente il mix perfetto tra attualità sociale e televisiva hanno segnato il destino di questo progetto fin dal suo inizio. Concentrato su di un racconto di insofferenza giovanile dall'animo universale, Lazzari costruisce una storia autentica di disagio rivolta ad un ambito famigliare deciso a non alleggerire coscienze da troppo sopite. Da qui i riferimenti non certo velati alla prostituzione e all'abuso infantile che, gestiti con realismo, trasformano la cronaca in un racconto dal gusto un po' naif.

Ed in questo gioco di attualità il regista inserisce la leggerezza televisiva attraverso l'uso di Francesco Mariottini che, oltre ad attrarre l'attenzione del pubblico giovanile, di questo rappresenta il volto più sano e propositivo. Una scelta che, prescindendo dalla performance interpretativa non certo brillante del ballerino di Amici, presuppone la prospettiva di un'operazione spinta dalla passione cinematografica ma certo non avulsa da una progettualità attenta e perspicace. Così, se la riuscita di un progetto visivo dipendesse esclusivamente dall'individuazione di una tematica valida e dall'entusiasmo risposto nella realizzazione, Lazzari avrebbe ottenuto ad honorem il diritto ad un esordio perfetto, ma il cinema è fatto di forme e tempismi che, almeno in questo caso, dimostrano tutte le lacune di un'opera prima. Accurato e interessante nella realizzazione tecnica, il film non riesce però a mantenere lo stesso livello nella gestione narrativa di un insieme forse troppo impegnativo per non cedere all'errore.

Personalmente coinvolto da un racconto dalla forte immedesimazione, il regista bresciano non mantiene il distacco dell'autore, cullandosi con un minimo di compiacimento artistico, nella ricostruzione di un'enfasi eccessiva. Un gioco di rimandi estetici e ricostruzioni ambientali che, guardando a modelli alti, poggiano con pesantezza sulle spalle di un cast anagraficamente e artisticamente impreparato ad un impegno che richiede maggior astuzie professionali. Un errore di valutazione,questo, che, non modulando le aspettative rappresentative con quelle interpretative, colloca il film nel limbo delle buone occasioni perse.

Movieplayer.it

2.0/5