Recensione Sarà un paese (2013)

L'esordio del regista romano Nicola Campiotti è una gradevole sorpresa, una docufiction che, malgrado l'eterogeneità dei suoi temi, mostra un'ottima compattezza, muovendosi sul doppio binario del racconto mitico e dell'analisi documentaria.

Nicola ha trent'anni, è laureato ma disoccupato come molti dei suoi coetanei. Continua a bussare alla porta di varie aziende, ma ciò che ottiene (quando non è esplicita derisione per i suoi studi) sono solo assurde proposte di lavoro "in prova", ovvero gratis. Il futuro è una nebulosa indecifrabile, oltre che poco rassicurante. Suo fratello Elia, invece, di anni ne ha dieci, e osserva perplesso le peregrinazioni del fratello maggiore. Non capisce perché, per Nicola, "fare il baby sitter per tutta la vita" dovrebbe essere un problema.

Elia, durante una recita scolastica, resta affascinato dal personaggio di Cadmo: l'eroe che, secondo la tradizione greca, partì alla ricerca di sua sorella Europa, rapita da Zeus, e tornò col dono più grande (e rivoluzionario) che un uomo avesse mai ricevuto: l'alfabeto, ovvero la capacità di comunicare. Il ragazzino sente che nel dono ricevuto da Cadmo c'è qualcosa che potrebbe aiutare sia lui, sia suo fratello, a decifrare meglio la realtà che sta loro intorno. Così, i due partono in treno, insieme, per un viaggio attraverso luoghi noti e meno noti del paese: lo scopo è proprio quello di comprendere, cercare un linguaggio universale che dia il giusto nome alle cose, reinventare la comunicazione per sperare di cambiare la realtà. Rifare insomma, secoli dopo, il viaggio di Cadmo.

Docufiction "generalista"?

Sarà un Paese: Elia Saman in una scena del film
Sarà un Paese: Elia Saman in una scena del film

Il titolo Sarà un Paese, già di suo, dà un'idea abbastanza precisa dell'approccio che il regista Nicola Campiotti (al suo attivo già alcuni corti, oltre a collaborazioni con Wim Wenders e Marc Forster) ha adottato per questo suo esordio nel lungometraggio: la materia trattata è tanto vasta da poter risultare indistinta, certo spinosa e a forte rischio retorica, ma l'atteggiamento verso i temi trattati è limpidamente ottimista. L'essere riuscito, il regista, a mettere insieme un'opera coerente e con una sua personalità, partendo da temi tanto eterogenei, e mantenendo nel contempo un'ottica così netta, è già esercizio che merita un plauso. Resta difficile, infatti, immaginare come un film (per di più di un genere così peculiare, e insidioso, come la docufiction) possa trattare un argomento tanto generico senza scivolare nella retorica o nel qualunquismo; ancor più, pensare che un atteggiamento positivo e ottimista verso i temi trattati non finisca per sposare un'ottica plastificata e illusionista: quella che sembra animare la politica degli ultimi anni, fatta di slogan, parole d'ordine e improvvisati "messia", e di scarsissimo contatto con la vita delle persone. Tuttavia, in appena 77 minuti (su decine di ore di girato, stando alle sue parole) Campiotti fa il "miracolo": il film pulsa di un'anima sincera, è lucido nei suoi assunti quanto coerente nelle conclusioni. Ed ha, esteticamente, più di un motivo di interesse.

Realtà e mito

Sarà un Paese: una scena del documentario
Sarà un Paese: una scena del documentario

Si è detto che Sarà un paese è un film per ragazzi. Ciò è vero solo in parte, e comunque non in un'ottica riduttiva. Più che rivolto a un pubblico specifico, genericamente identificabile con una fascia di età, il film di Campiotti è infatti quella che si dice un'opera "a misura di bambino": l'ottica della narrazione è quella del piccolo Elia Saman, attore che offre una prova fresca e sorprendentemente ricca. Che il film possa essere fruito da un pubblico più giovane, e che possa essere utilizzato in percorsi educativi mirati (comunque da contestualizzare) è senz'altro vero: ma ciò che l'opera stimola è più che altro una limpidezza di visione, il recupero di quell'attitudine alla semplicità nell'approccio ai temi (che non è semplicismo) che è incarnata nel personaggio del piccolo protagonista. Una semplicità che parte da quella comunicazione che il ragazzino, in modo embrionale, comprende essere chiave di volta per la comprensione: lui e suo fratello, che nel film ha il volto dello stesso regista, si mettono semplicemente in ascolto, con un atteggiamento puramente e squisitamente ricettivo. Ciò che ne ottengono sono storie, racconti, vivide immagini: storie di vita vissuta, spesso drammatiche, ma filtrate da quel senso di meraviglia, da quel bisogno di ascolto, e condivisione, che da sempre rappresentano la base per la trasmissione della conoscenza. Il film si muove quindi, costantemente, sul doppio binario del racconto realistico, tradotto nella sua natura più documentaristica, e della trasfigurazione fiabesca, incarnata nella dimensione mitica del viaggio dei due protagonisti.

Sintesi e coerenza

Un'immagine del documentario 'Sarà un Paese'
Un'immagine del documentario 'Sarà un Paese'

Il film non teme, quindi, di denunciare un approccio ottimistico, frutto di positività e fiducia nelle possibilità dell'essere umano, agli argomenti che affronta. Non interessa, qui, analizzare se tale atteggiamento, in un contesto storico-sociale complesso e contraddittorio, come quello attuale, sia condivisibile o meno: quello che preme sottolineare, tuttavia, è la coerenza e l'indubbio nitore di sguardo che emergono dalla visione. Da una sceneggiatura che, per esplicita ammissione del regista, si configurava inizialmente come un semplice canovaccio, e con un'opera di sintesi sicuramente notevole, Sarà un paese stupisce alla fine per la sua integrità e compattezza: il viaggio dei due protagonisti, nella doppia dimensione a cui si accennava precedentemente, è chiaro nelle premesse, limpido nello svolgimento, coerente negli esiti. La forza che ne sgorga è quella di un potere affabulatorio, quello del racconto per immagini, che il regista felicemente mescola con le esigenze della ricostruzione documentaria. L'impatto generale, al di là dei rischi che pure il film si prende, in termini di approfondimento delle singole vicende, è ciò che maggiormente resta impresso nella visione: ciò resta vero anche laddove la verve del regista (e pensiamo, in particolare, alla sequenza in cui vengono declamati gli articoli della Costituzione) rischia di confinare col linguaggio dello spot televisivo. Non sono tali, occasionali, sbandamenti, a restare come traccia, intellettuale ed emotiva, una volta accesesi le luci e terminata la visione.

Conclusioni

Sarà un Paese: una scena
Sarà un Paese: una scena

Ultima uscita annuale del catalogo Distribuzione Indipendente, Sarà un paese è una gradevole, e gradita, sorpresa. Un esordio piccolo nelle dimensioni produttive, quanto significativo nei risultati, da un regista da seguire con attenzione nei suoi futuri lavori.

Movieplayer.it

3.5/5