Recensione Saint Laurent

Il mito del lusso francese rivive nei panni di un fragile, efebico, sensuale Gaspard Ulliel in un biopic visionario ed esteticamente voluttuoso.

Il fenomeno YSL

Saint Laurent: Gaspard Ulliel nei panni di Yves Saint Laurent
Saint Laurent: Gaspard Ulliel nei panni di Yves Saint Laurent

Uno dei presupposti tradizionali dei canonici biopic sta nel narrare le origini - per lo più umili - di personaggi divenuti leggendari: il personaggio oggetto di quest'opera d'ispirazione biografica, tuttavia, è stato fortunato nei natali, è stato amato e vezzeggiato dai suoi familiari, ed ha colto il successo planetario prima di compiere 25 anni. Bertrand Bonello approfitta di queste particolarità per rompere le convenzioni e allestire un biopic atipico, che si apre in medias res: il marchio già esiste, sta per spiccare il salto per diventare un impero, l'atelier ribolle di attività, collezione dopo collezione, e Yves Saint Laurent ha già avviato la relazione che l'accompagnerà per tutta la vita, quella con Pierre Bergé, compagno e socio di affari.

Bonello non si propone dunque di esplorare la vocazione artistica di Saint Laurent, la ricerca della sua identità o il progredire della sua carriera, glissa persino sul momento più drammatico della sua parabola professionale, quando fu chiamato alle armi durante la guerra d'indipendenza algerina e licenziato dalla maison Dior. Gli interessa il rapporto tra il coutourier e il suo tempo, vuol raccontare la sua visione dell'arte e la maniera in cui visse una vita sontuosa come le sue creazioni, effimera come la moda.

Più che una rockstar

L'astro di YSL, dunque, non fa che splendere sempre di più dal momento in cui Bonello lo riaccende di fronte a noi, ed è inevitabile che sia circondato dal glamour: come ne L'apollonide (Souvenirs de la maison close) Bonello ritrae un mondo decadente e malinconico nei suoi fasti inesauribili, vedendo negli anni dell'ascesa dell'impero economico di Yves Saint Laurent quasi l'ultimo ruggito di un'idea di bellezza che la fine del secolo spazzerà via. In questa ottica sembra inevitabile la scelta di girare la pellicola in 35mm, per cercare una profondità e una consistenza che il digitale non potrebbe assicurare, e per abbracciare un'idea di "lusso" nella produzione cinematografica che sembra ormai superata.

Saint Laurent: Gaspard Ulliel in una scena nei panni di Yves Saint Laurent
Saint Laurent: Gaspard Ulliel in una scena nei panni di Yves Saint Laurent

L'illusione della bellezza

Oltre alla ricchezza travolgente dell'elemento estetico, l'altra caratteristica vincente di Saint Laurent è un Garpard Ulliel che non cerca di trasformarsi in YSL, o di riprodurre la sua espressività e i suoi manierismi, ma lascia che il regista plasmi in lui la sua creatura: si presta a diventare un omaggio a Saint Laurent, più che un'imitazione, un omaggio che forse, nonostante la rappresentazione grafica dei suoi eccessi, le incarnazioni morbose dei suoi tormenti, lo stilista avrebbe amato più dei suoi eredi, che il film pare non l'abbiano gradito (meglio quello, più inoffensivo e prevedibile, di Jalil Lespert?). Ambiguo e inafferrabile, come forse siamo tutti se non ci arrendiamo a facili e comode semplificazioni, il suo è un fragile, sensuale e credibile eroe.

Conclusione

Con una notevole coerenza di visione e una forte componente visionaria, Bonello riesce ad offrire il ritratto stimolante di un uomo, di un'icona, di una magnifica e dolente ossessione.

Movieplayer.it

3.5/5