Recensione Ruggine (2011)

Con rara maestria Gaglianone riesce, almeno fino ad un certo punto, ad intrecciare alla perfezione i cambi di scenario tra passato e presente in un flusso narrativo che scivola nella gola dello spettatore come una bibita ghiacciata.

Male dentro

Come la Ruggine logora il metallo e lo rende fragile, il male e la violenza logorano l'animo umano e in particolare l'innocenza dei più piccoli, lasciando ferite profonde e cicatrici impossibili da rimarginare con cui, purtroppo, bisogna imparare a convivere.
Tratto dall'omonimo romanzo di Stefano Massaron, il quarto film di Daniele Gaglianone, che ha alle spalle una lunga carriera di documentarista e assistente alla regia, narra la storia di un gruppo di bambini la cui amicizia sopravvive nel tempo nonostante la condivisione di un'esperienza tremenda che risale agli anni '70, agli anni della loro infanzia nella periferia degradata di Torino, abitata per lo più da immigrati meridionali e del nord est. La piccola gang, capitanata dal piccolo siciliano Carmine, va per la maggiore nel quartiere e passa le giornate di vacanza nel 'castello', una sorta di rifugio fatto di ferraglie e di rottami arrugginiti lontano da occhi indiscreti, un posto che i ragazzini hanno adibito alle loro marachelle. Quella stessa estate arriva in zona un nuovo medico, il dottor Boldrini, un uomo aristocratico, introverso ed elegantemente criptico che sconvolgerà per sempre l'esistenza di una comunità che fino a quel momento scorreva tranquilla seppur con le sue difficoltà...


Sceneggiato dallo stesso regista con la collaborazione, tra gli altri, dell'autore del romanzo originale Stefano Massaron, Ruggine racconta quel che accade all'animo fanciullesco a contatto con la violenza più feroce e le ripercussioni di questo 'incontro' sulla vita futura.
Un senso di inquietudine pervade il film, in qualche momento ai limiti del sostenibile per la sua forza visiva, grazie soprattutto alle sorprendenti intuizioni del regista anconetano, che si conferma tra i migliori attualmente in circolazione, uno che sa raccontare con immagini e incroci narrativi, oltre a saper 'muovere' la macchina da presa. In Ruggine Gaglianone ricostruisce con maestria un passato che non è passato pur essendo lontano e guida gli attori tutti, giovani e meno giovani, in un percorso ad ostacoli tra le insidie di una storia forte, rischiosa e allo stesso tempo molto dolorosa.

Fiaba nera mai troppo esplicita nel mostrare la violenza, Ruggine racconta di un orco vero, il famoso uomo nero che esiste davvero ed insegue le sue prede che fanno di tutto per non essere mangiate.
Bravissimi Valerio Mastandrea, Stefano Accorsi e Valeria Solarino, ma un discorso a parte va fatto per Filippo Timi che, nei panni scomodissimi del dottor Boldrini, purtroppo non riesce ad esprimersi al meglio e a tenere le redini del personaggio, senza dubbio estremo, delineando il profilo di un 'mostro' un po' troppo sopra le righe, ai limiti del parossistico. Un'interpretazione delirante, un tantino troppo fuori misura per il bravo attore perugino, che fa perdere però al film l'equilibrio tanto faticosamente costruito dal regista in tutta la prima parte del racconto. Con rara maestria Gaglianone riesce, almeno fino ad un certo punto, ad intrecciare alla perfezione i cambi di scenario tra passato e presente in un flusso narrativo che scivola nella gola dello spettatore come una bibita ghiacciata.
Il finale lascia molto in sospeso ma, dopo una breve apparizione dei titoli di coda, regala un disperato ed eloquente strascico di solitudine nell'ultima scena, ambientata ai giorni nostri in metropolitana. I tre ragazzini, ormai adulti ma orribilmente segnati nel cuore, siedono nello stesso vagone, si guardano in lontananza senza parlare, dicendosi con lo sguardo tutto ciò che non hanno mai avuto il coraggio di confessarsi.
Non si scherza con la paura, lo mostra in maniera splendida la scena in cui il personaggio di Accorsi, un padre separato che si diverte a spaventare il figlioletto nascondendosi in casa al buio senza accorgersi di esagerare.
La verità è che quando un bambino incontra il male è difficile vincere ogni piccola paura, perchè anche solo guardare da vicino un simile abisso di malvagità nell'età della spensieratezza costringe ad un tuffo in un buio da cui è impossibile riemergere.

Movieplayer.it

3.0/5