Recensione Quello che so sull'amore (2012)

Dopo i più personali La ricerca della felicità e Sette anime, in cui si riusciva a percepire quel tocco drammatico ed esistenzialista che aveva caratterizzato anche i suoi film d'esordio, in questo caso Gabriele Muccino ha accettato di spersonalizzare il suo cinema per cedere il passo alle regole del genere.

La ricerca della maturità

Leggendo i commenti senza pietà che i maggiori quotidiani americani gli hanno dedicato, ci si sarebbe aspettati di assistere ad una vera Apocalisse cinematografica, un'offesa alla settima arte e una minaccia insostenibile per gli ignari spettatori. In realtà, però, quello che è stato catalogato come "il film più inutile dell'anno", altro non è che una semplice commedia romantica priva di una sceneggiatura arguta che, unendo sul set un cast stellare e una certa prevedibilità narrativa, di certo non dovrebbe incitare masse di critici a stelle strisce allo sdegno. Perché in fondo, Quello che so sull'amore rientra perfettamente nei canoni medio bassi di una numerosa produzione cinematografica con cui Hollywood ha costruito un mercato ben preciso, dando in pasto al suo pubblico vicende sentimentali tendenzialmente ripetitive prive di quel guizzo ironico che aveva caratterizzato l'American Comedy fino agli anni novanta. In questo senso, dunque, possiamo affermare che Gabriele Muccino abbia realizzato il suo primo vero film americano. Quanto, poi, sia stato più o meno costretto a questa scelta da voleri produttivi è tutto un altro discorso. Il fatto è che, dopo i più personali La ricerca della felicità e Sette anime, in cui si riusciva a percepire quel tocco drammatico ed esistenzialista che aveva caratterizzato anche i suoi film d'esordio, in questo caso il regista romano ha accettato di spersonalizzare il suo cinema per cedere il passo alle regole del genere.


Da questa scelta nasce la vicenda dell'ex calciatore George Dreyr che, dopo anni passati a godere dei privilegi offerti ad un campione, torna a casa per conquistare nuovamente i favori dell'ex moglie e del figlio quasi dimenticato. Ma i guai sembrano non volerlo abbandonare. Senza un soldo, nonostante i suoi ingaggi faraonici, e con un padrone di casa indiano che lo assilla per pagare l'affitto della sua dépendance, George si trova a vestire la maglia di coach per una squadra di ragazzini in cui gioca anche il suo Lewis. Così, bello, ruvido e aiutato ancora da un barlume di fama, George si trova al centro delle attenzioni non richieste di un gruppo di madri sessualmente estroverse. Una casualità, che sembra complicare ancora di più le sue giornate visto l'intenzione di riconquistare Stacey e di strapparla dalle braccia di un quasi nuovo marito. In questo intreccio semplice e scontato si possono rintracciare senza alcuna fatica non solo gli elementi essenziali dell'intero film ma, soprattutto, la costruzione veramente elementare dei personaggi. Per questo motivo, seguendo attentamente i dettami del genere romantico, il protagonista maschile non poteva essere altro che immaturo e inaffidabile. A lui si contrappone una figura femminile solida e ormai sfiduciata di fronte alle molte delusioni ricevute. Intorno a loro, poi, si aggirano gli immancabili comprimari di contorno che dovrebbero rivestire un chiaro ruolo comico senza raggiungere, però, lo scopo desiderato.

Tutto questo definisce un film che si potrebbe condensare perfettamente in pochi minuti di trailer senza privarlo di nessun significato. Perché, oltre la mancanza di ironia e del giusto ritmo, ciò che colpisce veramente è l'omologazione del prodotto, spogliato completamente dello sguardo personale del regista. E' innegabile che Muccino, amato o criticato, sia dotato di uno stile con cui riesce ad utilizzare la macchina da presa per dare forma alle proprie visioni. Il suo tocco, poi, diventa inconfondibile nel modo in cui dirige gli attori e nella capacità di spingerli verso delle manifestazioni estreme della propria intimità. Tutti elementi che in questo film vengono completamente appiattiti, completamente negati da personaggi emotivamente inconsistenti e poco affascinanti capaci solo di contrapporre ai classici tormenti mucciniani una retorica familiare perbenista e stucchevole. In definitiva, ci troviamo di fronte ad un film che si potrebbe dimenticare dopo pochi muniti, come accade per la maggior parte delle commedie americane di nuova generazione, se non fosse per quel Gerard Butler innegabilmente capace di accendere la fantasia delle sue compagne di set e del pubblico femminile.

Movieplayer.it

2.0/5