Recensione Piccola patria (2013)

Piccola patria è un'analisi attenta di un microcosmo, che si nutre della sua stessa asettica freddezza e finisce per risultate fredda a sua volta.

Vivere senza sogni

La provincia del nord est italiano è lo sfondo sul quale si muove la storia di Piccola patria, esordio in un film di finzione del regista Alessandro Rossetto, autore con alle spalle una carriera da documentarista che volge lo sguardo ad un microcosmo concentrato su sè stesso, sul lavoro e la smania di far soldi, in cui i migranti sono visti come una minaccia a quanto costruito con tanta fatica.
Ne sono protagoniste Luisa e Renata, due ragazze al lavoro in una calda estate con l'unico vero sogno di abbandonare quel luogo in cui sono cresciute. Rappresentano la parte giovane dei personaggi del film, quelli che ancora hanno, o potrebbero avere una speranza, contrariamente alle loro controparti adulte che sono avvolti in una nube di rassegnazione.


È proprio quest'ultima la chiave di Piccola patria: una profonda rassegnazione che impregna la storia, ogni snodo, i ricatti, le violenze ed i tradimenti, fino ai segumenti più rabbiosi fatti di politica ed intolleranze. È lo stato d'animo non dei singoli, ma di una comunità intera.
Rossetto è abile nel mettere in scena questo profondo disagio, lo evoca, lo mostra, lo rende il motore delle vite dei suoi personaggi. Figure che segue con spirito che tradisce la sua origine documentaristica, che rende vive lavorando sui volti ed il linguaggio. Può farlo anche grazie alla disponibilità dei suoi interpreti, dalle ragazze Maria Roveran e Roberta Da Soller agli adulti Diego Ribon e Mirko Artuso.

Quello del linguaggio usato nei dialoghi è un elemento basilare dello sviluppo: tramite la lingua, infatti, si lega saldamente al territorio ergendo esso stesso a personaggio della storia.
E come i suoi personaggi viene mostrato. Lunghe, lente carrellate a volo d'uccello ce lo mostrano con asettica completezza: case, strade, edifici in costruzione. Ferite portate dall'uomo alla terra su cui vive e che ne sono segni di un'evoluzione rapida ed incontrastabile. La stessa evoluzione che deforma la società in cui i personaggi si muovono.
Un'analisi attenta che si nutre della sua stessa asettica freddezza e finisce per risultate fredda a sua volta. Ed è l'unico vero problema del film, che si osserva senza una vera partecipazione emotiva, come se quel vuoto impedisse allo spettatore di avvicinarsi e provare empatia per le storie a cui assiste.

Movieplayer.it

3.0/5