Recensione Pelo Malo (2013)

Alla rappresentazione accurata di un ambiente sociale povero e degradato in cui si muovono i personaggi, non corrisponde la stessa attenzione nella "descrizione" del loro mondo interiore, quasi fossero denotati solo ed esclusivamente dalle loro azioni.

Il ragazzo dai capelli ricci

Caracas, giorni nostri. Junior ha nove anni e una voglia matta di stirare i suoi capelli ricci, una caratteristica fisica che lo rende troppo diverso dagli altri. Sogna una chioma normale per poter ben figurare nella foto tessera che gli serve per l'iscrizione a scuola e anche per entrare nel dorato mondo dello showbiz. Nessuno però sembra volergli dare una mano, né la nonna, una signora eccentrica che pur di averlo con sé, ed evitargli la fine del padre, ucciso, è disposta ad accettarne la 'diversità', né la madre, vedova e disoccupata. Marta non riesce proprio a comprendere quel figlio particolare che ogni tanto si mette ballare, ossessionato dallo shampoo e dal phon, così dirotta tutte le sue attenzioni sul secondogenito, allontanandosi progressivamente da Junior, disprezzandolo per la presunta omosessualità. Non è un film di immediata decifrazione Pelo Malo, diretto dalla venezuelana Mariana Rondòn, presentato in concorso alla 31.ma edizione del Torino Film Festival e vincitore a San Sebastiàn; alla rappresentazione accurata di un ambiente sociale povero e degradato in cui si muovono i personaggi, non corrisponde la stessa attenzione nella "descrizione" del loro mondo interiore, quasi fossero denotati solo ed esclusivamente dalle loro azioni. In questo modo perdiamo di vista l'aspetto centrale della storia, ossia la ricerca di identità da parte di Junior e, successivamente, il rapporto con una madre anaffettiva e giudicante che lo considera un oggetto misterioso, un alieno da respingere. Riusciamo raramente a entrare nel mondo del ragazzino dai capelli ribelli, che la Rondòn finisce per mettere in secondo piano rispetto alla madre manipolatrice, odiosa e fredda.

Manca quel pathos, quell'empatia che ci facciano sentire la stessa sofferenza di Junior e non è una mancanza da poco in un film che invece dovrebbe essere tutto concentrato sul piccolo protagonista (Samuel Lange) e che si allontana più volte da esso proponendoci come oggetto di studio una donna (Samantha Castillo) dai comportamenti irresponsabili e odiosi, fortemente castrante e sorda alla richiesta d'amore del figlio. Costruire una sceneggiatura mettendo in dubbio l'amore materno, sottolineando come certe relazioni non siano automatiche, è una scelta intelligente e non scontata, che avrebbe dovuto essere sostenuta da una diversa e più profonda attenzione al bambino. Junior è un figlio dimenticato, di cui nessuno si interessa davvero, che viene abbandonato dalla mamma come fosse un pacco, che viene intimamente violato, perché gli adulti decidono tutto per lui, senza ascoltarlo. Questo grumo, questo aspetto di profonda tragicità emerge raramente dal flusso del racconto orchestrato dalla Randòn che mostra la vicenda senza interpretarla, senza darle il giusto spessore. Il film quindi non convince appieno, sebbene riesca a restituire in pieno la desolazione e la povertà di un certo ambiente superstizioso e ignorante, in cui i rapporti di forza tra le persone vengono stabiliti solo in base all'utilità. Qui lo sguardo della Rondòn è realistico senza essere didascalico.

Movieplayer.it

3.0/5