Recensione Pavilion (2012)

Filmmaker ed educatore, Sutton ha fuso nella pellicola le sue due anime, realizzando un affresco etereo sull'adolescenza, un'opera impalpabile e leggera.

Arizona boy

L'adolescenza come momento della vita in cui si compiono scelte importanti e dolorose, in cui si gettano le basi per il proprio futuro, anche se il futuro sembra un tempo lontanissimo. L'amore, l'amicizia, le prime trasgressioni, confluiscono armonicamente in Pavilion, il film di Tim Sutton presentato in concorso al Torino Film Festival. Il protagonista si chiama Max, ha 15 anni e vive con la madre e la nonna a Cazenovia, una città a Nord dello Stato di New York. Il ragazzino decide trasferirsi in Arizona a casa del papà, un signore dall'aspetto giovanile e di poche parole che deve cambiare la propria vita e trovare una casa più grande per poter accogliere nella migliore delle maniere il figlio. Anche per Max quello spostamento assume un valore importante, perché si separa dalla ragazza che gli fa battere il cuore, oltre che dai suoi vecchi amici. E i paesaggi aridi di Chandler non sono affatto ospitali. Ma una volta rotta la barriera attorno a lui, Max è pronto a mettersi in gioco. Filmmaker ed educatore, Sutton ha fuso nella pellicola le sue due anime, realizzando un affresco etereo sulla gioventù, un'opera impalpabile e leggera. Fattore questo legato a doppio filo con la struttura della storia, che non si sviluppa su di una sceneggiatura tradizionale, ma trae spunto dall'abbozzo di un corto, mantenendo intatta questa libertà di impianto e sfiorando in alcuni momenti la verità e la spontaneità del documentario.

Si va con il pensiero al Gus Van Sant di Paranoid Park, per l'assonanza di certe immagini, le corse sullo skateboard, i volti coperti dal cappuccio dell felpa, ma il paragone rischia di fuorviare, visto che nel lavoro di Sutton è totalmente assente l'elemento tragico che ha reso unica e angosciante la pellicola di Van Sant. Anzi, i protagonisti del film sembrano in realtà pacificati con sé stessi, o forse sanno occultare i loro sentimenti, per poi svelarli solo in determinate situazioni. Si è troppo grandi per dare un bacio alla mamma, ma si ha voglia di vivere con il papà; le ragazze fanno passeggiate con la minigonna, quasi a svelare una femminilità pronta a sbocciare, ma mangiano caramelle in riva al lago, si va al cinema da soli, ma per vedere un cartone animato. E' su questi contrasti che l'esilissima trama si sviluppa. Immortalati nel loro ambiente, con la complicità e la fluidità di una macchina da presa digitale, tra le strade assolate di una città dell'Arizona, i protagonisti passano le loro giornate sulle bici BMX, tentano i primi approcci con le ragazze, si interrogano sui rapporti con i propri genitori, in alcuni casi molto più dissennati dei figli. A ragione si può obiettare che nel film non succeda letteralmente nulla, ma in fondo per un quindicenne il trasferimento dalla città natale ad una nuova abitazione, è di per sé un fatto epocale, che mette il protagonista di fronte ad una situazione completamente sconosciuta. L'opera riesce ad affascinare nelle sue immagini, le sequenze delle lunghe corse in bicicletta o quelle in cui il protagonista sembra essere fuori fuoco, ma sono ingredienti che non permettono alla storia di imprimersi nella memoria.

Movieplayer.it

3.0/5