Recensione Nymphomaniac - Volume 2 (2013)

Tra tanto sesso suggerito, mostrato, consumato e sofferto, ciò che manca è l'eccitazione. Neppure per un momento lo spettatore viene chiamato in causa carnalmente in quello che, alla fine, si rivela un gioco intellettuale tanto sofisticato quanto distante.

Discesa agli inferi

Se il primo volume di Nymphomaniac, opera fiume di Lars von Trier, sa essere drammatico e brillante al tempo stesso, nel passaggio dall'adolescenza all'età adulta la vita della protagonista Joe assume una piega tragica. Lo spirito anarchico e assetato di conoscenza dell'adolescente ribelle e anticonformista innamorata del padre e del sesso (Stacy Martin) lascia il posto al dolore di una donna lacerata nel corpo e nello spirito. Joe è l'ultima vittima del genio depresso danese, condannata a cercare un appagamento fisico estremo e violento che le impedisce di amare. Quando, dopo tanto peregrinare, la vita le regala un compagno solido e affettuoso e un figlio, Joe sente il bisogno di autopunirsi infliggendosi le peggiori umiliazioni pur di provare ancora quel piacere sessuale che ora le viene negato. Alla perdita della famiglia segue la discesa verso l'abiezione e l'illegalità che la porta a riciclarsi a capo di un gruppo di criminali addetti alla riscossione crediti. Tra sesso saffico, sadomaso, autoerotismo sfrenato e astinenza obbligata dalle condizioni in cui ha ridotto il proprio organo sessuale, grazie all'aiuto del saggio Seligman, che prosegue nell'ascolto del suo racconto, Joe arriva alla conclusione che l'unico modo per essere finalmente libera è eliminare il sesso dalla propria esistenza.


Il lato oscuro del sesso
Le onde del destino ci insegna che il dono totale di sé come oggetto sessuale porta al martirio del corpo e alla sublimazione dello spirito. All'opposto la salvezza risiede nella mortificazione della carne e nella castità. Passano gli anni, ma l'urgenza di Lars von Trier è ancora quella di sfogare la frustrazione dovuta all'incapacità di possedere la donna castrandone gli impulsi sessuali, sentimentali, materni. L'istinto diviene consapevolezza solo grazie all'esperienza. Dobbiamo attendere di ritrovare una Joe matura, cinica e distaccata, depauperata di quella freschezza che possedeva nel Volume 1, prima di poter affrontare il nodo centrale di Nymphomaniac. Di conseguenza il Volume 2 cambia passo e atmosfere. Archiviato l'originale e vivace puzzle che mescolava ironia e dramma, dottrine filosofiche, teoremi matematici e teoria della musica polifonica, la narrazione si asciuga e si cristallizza su una nota unica, monotematica, a tratti perfino noiosa. La stratificazione e la varietà lasciano il posto alla cupezza: perfino i capitoli, a parità di durata, si riducono passando dai cinque del primo film ai tre del secondo. Per giustificare l'assunto su cui Joe continua a insistere, la sua abiezione morale, agli occhi dello scettico Seligman, che più di una volta ha messo in discussione la veridicità del suo racconto, von Trier imbastisce una tragedia in tre atti nel corso dei quali Joe viene privata (si priva) della sfera affettivo/familiare, dell'appagamento sessuale e dello status di cittadina che vive nella legalità. Abiezione o espiazione?

Convergenze e divergenze

Momenti come l'incontro di Joe con Willem Dafoe e il successivo ingresso nel mondo del crimine o le sedute masochistiche con uno spregevole 'terapista' interpretato da Jamie Bell (la scelta meno felice dell'intero cast) risentono di una stanchezza diffusa dovuta in parte alla cupezza dei toni, ma contengono anche il punto di svolta del film, l'incontro di Joe con un pedofilo il cui racconto innesca un primo mutamento nelle reazioni di Seligman. L'astuto Lars attende di superare il giro di boa del Volume 2 prima di inserire quello scarto che apre la strada a un nuovo senso del film. Non ci inganni l'apparente scelta di focalizzarsi sulla maturazione di Joe e sulla scoperta dei suoi appetiti sessuali, con Seligman a fare il controcanto razionalizzandone ogni mossa. Joe e Seligman rappresentano due facce della stessa medaglia, due modi opposti e convergenti di vivere il sesso che, per un istante, rischiano di intersecarsi in un unico punto. Il cammino di Joe procede dal sesso sfrenato alla castità. Al contrario, Seligman dichiara di essere vergine, ma la scoperta del sesso risuona nell'orecchio, nel cuore e nelle parti basse dell'uomo attraverso la voce peccaminosa di Joe.

Un regista immanente

A conti fatti chi sono Joe e Seligman se non sofisticati alter ego di Lars von Trier? Il regista danese ha passato un'intera carriera a denunciare l'incapacità di comprendere l'altro sesso (sarà questa la vera origine della sua depressione?). Come potrebbe ora costruire un pamphlet interamente dedicato all'origine del piacere femminile e alle sue manifestazioni, oggetto oscuro per eccellenza agli occhi di ogni uomo? Pensandoci bene Joe rivendica il potere della sessualità e il piacere di vivere fuori dalla moralità comune, ma non è mai in grado di spiegare l'origine del suo desiderio insaziabile né l'improvvisa frigidità. Ancora una volta Lars si prende gioco di noi in un abile gioco di specchi in cui rivela la sua doppia anima, razionale e passionale, controllata e libidinosa, apollinea e dionisiaca, ma essenzialmente maschile. Per farlo si scomoda a mettere in piedi un'opera imponente, di grande valore artistico, ma essenzialmente pervasa dalla sua ironia. Perfino nei momenti più bui fanno capolino saggi del suo humor dissacrante e provocatorio come il dialogo incomprensibile tra i due africani che tergiversano di fronte a una Joe nuda ed esterrefatta e la scena al ristorante il cui la giovane Joe fa un uso improprio dei cucchiai. In quest'ottica appare più digeribile anche un finale che rappresenta un sberleffo allo spettatore, ma che va a concludere una perfetta struttura circolare, rafforzata dal ritorno del vicolo e della serie di Fibonacci. Tra tanto sesso suggerito, mostrato, consumato e sofferto, ciò che manca è l'eccitazione. Neppure per un momento lo spettatore viene chiamato in causa carnalmente in quello che, alla fine, si rivela un gioco intellettuale tanto sofisticato quanto distante. Tra tanti membri eretti che sbucano in ogni scena, la vera provocazione di Lars von Trier è la scelta di confezionare un'opera algida che punti dritta al cervello. Senza dubbio il suo organo più seducente.

Movieplayer.it

4.0/5