Recensione Non aprite quella porta 3D (2013)

L'idea di partenza, quella di di rinverdire la saga, già ampiamente sfruttata, riprendendo la storia direttamente dal primo film, non era niente male. Peccato che al di là delle intenzioni, le velleità di enfasi su personaggi e trama vengano immediatamente accantonate.

Le fatiche (in 3D) di Leatherface

Nuovo capitolo dell'ormai leggendaria saga horror di Non Aprite Quella Porta che narra le gesta della famiglia Sawyer e soprattutto di uno dei boogeyman più iconici del genere ovvero Leatherface, che torna alla carica pronto a una nuova carneficina con tanto di motosega in 3D.
Il film si propone come una continuazione dell'originale del 1974 di Tobe Hooper, non tiene conto degli altri film (tre sequel, un remake e un prequel), e comincia esattamente da dove questo terminava. Agosto 1973, nella cittadina di Newt in Texas, Sally è scampata al massacro dei suoi quattro amici da parte di una famiglia di cannibali assassini, riesce a fuggire e dare l'allarme; la polizia interviene sul posto ma la situazione precipita all'arrivo della folla di cittadini infuriati che incendia la casa e stermina fino all'ultimo membro della famiglia, o quasi... Unica superstite una neonata che ritroviamo vent'anni dopo oramai cresciuta: la bella Heather riceve in eredità una grande villa in Texas da una nonna di cui ignorava l'esistenza e scopre di essere l'ultima discendente della famiglia Sawyer. Decide di partire per Newt insieme ad alcuni amici per scoprire qualcosa di più sul suo passato, ma nei sotterranei della casa troverà un altro membro della famiglia che è sopravvissuto al massacro...


L'idea di partenza di rinverdire la saga, già ampiamente sfruttata, riprendendo la storia direttamente dal primo film, riproponendone all'inizio nei titoli di testa le scene finali debitamente saturate per dare l'idea del tempo passato, non era per niente male. Peccato che al di là delle intenzioni, le velleità di enfasi su personaggi e trama vengano immediatamente accantonate e l'incipit diventi solo il pretesto per dare il via allo stanco, ripetitivo ed inflazionato balletto di esecuzioni nel più classico schema da teen horror. Solito gruppo improbabile di ragazze hot e ragazzi metro sessualizzati con il marchio di vittima sacrificale scritto in fronte, tanto bellocci quanto idioti, tra l'altro condannati da battute agghiaccianti tipo "Che c'è, non ti piacciono le mie bocce?" pronunciata davanti al biliardo: dopo 30 secondi non vedi l'ora che cominci la mattanza e che arrivi la motosega a squartarli. Per forza poi nelle saghe i fan fanno il tifo per l'assassino! Oltretutto la serie di omicidi è davvero poco inventiva, la suspense quasi del tutto assente e il 3D completamente superfluo. La sceneggiatura di Non aprite quella porta 3D è piena di buchi e i difetti nella scrittura sono eccessivi: va bene essere votati all'autolesionismo, caratteristica imprescindibile de protagonisti del genere, ma andare a sbattere col furgone contro il cancello chiuso senza alcun motivo quando sei praticamente scappato e in salvo è proprio volersi male.

Oltre a qualche brivido, il film suscita più di una risata, quell'umorismo involontario che ogni tanto ci può stare nel genere, ma in questo caso in molti dialoghi e scene viene il dubbio che in effetti la parodia sia volontaria. Ogni tanto ci sarebbe la possibilità di qualche scena più spettacolare, vedi la fuga nel cimitero o all'interno del luna park, ma John Luessenhop denota un po' di stanchezza in regia e alle buone idee manca la sufficiente creatività nella messa in scena. Nemmeno nella seconda parte, con il tentativo della variazione di schema con l'introduzione del tema dell'eredità familiare e del libero arbitrio di poterla accogliere o meno, del legami di sangue e del ribaltamento dei ruoli tra vittima e carnefice, la musica non cambia di molto. L'interesse si risveglia un po', ma purtroppo anche qui la realizzazione è poco convinta e l'intuizione non è supportata da una regia e una sceneggiatura sufficientemente creative. Tra l'altro il tentativo di riscatto e parziale giustificazione del mostro visto come vittima dell'emarginazione sociale, prodotto da una società di mostri veri che non hanno neanche l'alibi della pazzia ad assolverne i peccati, è un concetto già esplorato più volte in tanto cinema horror degli anni 70, compresi i precedenti capitoli della serie e soprattutto nel primo di Hooper che era un capolavoro del genere. L'idea era quella di rilanciare la serie incentrandola sul personaggio di Leatherface e farlo assurgere da comprimario di culto a vero protagonista, magari rendendolo più complesso della semplice macchina slasher segatutto, ma il tentativo interessante di umanizzarlo e di affiancargli una protagonista la cui sorte per una volta cambia da vittima a complice, non rende giustizia alle intenzioni. Comunque la famiglia è la famiglia, l'eredità è salva, e ce n'è per altrettanti sequel. Riguardo agli attori, Alexandra Daddario (Heather) e soprattutto Tania Raymonde (la sexy Carla Rinaldi di Death Valley) se la cavano, anche se Jessica Biel in canottiera nel remake del 2003 di Marcus Nispel difficilmente si batte.

Movieplayer.it

2.0/5