Recensione Maps to the Stars (2014)

Maps to the Stars prosegue il percorso evolutivo di Cronenberg e prende di mira il mondo dello spettacolo americano con una satira a tratti feroce che, però, non riesce ad andare fino in fondo.

Ci sono registi che hanno sempre qualcosa da dire su quello che li circonda. Autori che sanno osservare il mondo e riprodurlo attraverso il proprio personale sguardo deformante. Uno di loro è senza dubbio David Cronenberg, da sempre capace di offrire la sua interpretazione di quello che il contesto in cui operava offriva al momento, da Videodrome a Cosmopolis.

E certamente la distanza tra questi due titoli è enorme, se non nella capacità di analisi, nell'approccio ad essa: l'autore canadese si è allontanato dalla visionaria, trasgressiva e filosofica costruzione dei primi tempi, adottando uno stile narrativo più asciutto e realistico che ha portato a lavori distanti da quelli del passato, ma non meno efficaci. Un percorso che prosegue anche nel nuovo progetto, presentato in concorso all'edizione 2014 del Festival di Cannes a pochi giorni dall'uscita anche nelle sale italiane. Parliamo di Maps to the Stars.

La donna da Giove

Motore del film è Agatha Weiss, di ritorno a Los Angeles da Jupiter, Florida. Segnata da ustioni sul viso e le braccia, costantemente coperte da lunghi guanti, il personaggio di Mia Wasikowska inizia il suo percorso nel contesto californiano nella limousine a noleggio guidata dall'outsider Jerome Fontana, un Robert Pattinson che rispetto al precedente Cosmopolis resta relegato per lo più all'interno dell'auto, ma passa dietro il volante. La storia di Agatha è il collante per una serie di personaggio di contorno ed è subito chiaro il collegamento più o meno forte della ragazza con ognuno di loro: il fratello minore Benjie, l'adolescente più desiderato dai produttori di Hollywood per il suo successo, gestito con cinica brama di potere dalla madre (Olivia Williams) ed il padre, autorità nel campo del self-help (John Cusack). C'è poi Havana Segrand (Julianne Moore), attrice di discendenza importante, la cui madre è morta in un incendio e continua ad infestare la sua vita in spettrali visioni e per la quale Agatha inizia a lavorare come assistente personale tramite la conoscenza comune di Carrie Fisher (l'unico cameo del film).

Il pazzo mondo dello showbusiness

Con tali premesse è evidente che con Maps to the Stars Cronenberg prenda di mira il mondo dello spettacolo in quanto industria, usandolo come cassa di risonanza di alcuni problemi ben più ampi della società in cui viviamo. Lo fa partendo da uno script di Bruce Wagner, scritto venti anni fa quando l'autore lavorava come conducente di limousine, che racconta in modo satirico i vizi dello showbusiness. Il film è infatti quanto di più vicino alla commedia sia presente nella lunga filmografia di Cronenberg e non manca di fornire battute al vetriolo sui retroscena e le abitudini del contesto in cui si muove. È un'ironia che però solo raramente affonda il colpo e lo fa soprattutto attraverso il personaggio del giovane Benjie, puntando l'indice sulle giovani star di Hollywood, la loro insopportabile arroganza ed il loro sfruttamento. Una figura a cui fa da contraltare la non più giovane Havana, che lotta per mantenere il suo stato e festeggia il dramma vissuto da una collega a cui può rubare la parte, in una delle sequenze riuscite del film.

Su e giù per Beverly Hills

Maps to the Stars: John Cusack in una scena
Maps to the Stars: John Cusack in una scena

Cronenberg gira a Beverly Hills ed alcuni luoghi sono riconoscibili, ma dà del posto e dell'ambiente un'immagine diversa dal solito, dove il glamour trova poco spazio. Nei suoi ironici spostamenti tra gli aspetti della vita hollywoodiana, l'autore non riesce a dare unità al progetto e questo accade perché la parte più debole del film è proprio quella di Agatha che dovrebbe fungere da filo conduttore: la sua storyline si sviluppa lentamente e, benché ne sia chiara la direzione, assume interesse e mordente solo nella seconda parte della pellicola. Per questo in un film che è un po' commedia e un po' dramma familiare, con una spruzzata di ghost story e derive onirico-spettrali (alcune delle quali hanno il volto affascinante di Sarah Gadon), il regista manca di dare coesione al tutto e lascia che ad emergere siano i singoli momenti più che l'insieme, affidandosi alla bravura della solita Julianne Moore e del giovanissino Evan Bird per offrire allo spettatore le sequenze più efficaci e riuscite.

Conclusione

Maps to the Stars: Mia Wasikowska in una scena del film
Maps to the Stars: Mia Wasikowska in una scena del film

Maps to the Stars prosegue il percorso evolutivo di Cronenberg e prende di mira il mondo dello spettacolo americano con una satira a tratti feroce che, però, non riesce ad andare fino in fondo e spicca nei momenti di contorno di una storia principale senza troppo mordente.

Movieplayer.it

3.0/5