Recensione Lincoln (2012)

Lincoln non è solo, né principalmente, un biopic sulla figura del sedicesimo presidente degli Stati Uniti: il film di Spielberg vuole essere innanzitutto un'opera sulla centralità della politica, sulla necessità, la profonda dignità, ma anche le contraddizioni e i compromessi, che segnano quest'area dell'attività umana

Sporcarsi per un sogno

L'America, in quest'annata cinematografica, sta riflettendo su sé stessa. Sulla sua storia (passata e presente), sulle sue radici, sulle contraddizioni che la caratterizzano. Non è un caso che, dei film che animeranno l'attesa Notte delle Stelle hollywoodiana, i più importanti riguardino proprio passato e presente della nazione americana: il presente di Operazione Zero Dark Thirty e della lotta al terrorismo islamico, il passato recente di uno smacco subito, quello della crisi degli ostaggi in Iran raccontata in Argo, il passato più antico (e fondante) della Guerra Civile e della schiavitù, declinata in modi diversi, in due pellicole esteticamente agli antipodi quanto accomunate dallo stesso vigore politico: Django Unchained di Quentin Tarantino da una parte, e Lincoln di Steven Spielberg dall'altra. Genere contro autorialità (con tutte le contraddizioni che questi termini, nel 2013, portano con sé), cinefilia onnivora contro rigore narrativo, iperrealismo contro fedeltà cronachistica nella ricostruzione: ma, alla base, la stessa urgenza narrativa (e intimamente politica) di raccontare un passato che si ripercuote in molti modi sulle contraddizioni del presente. Che sia attraverso le gesta di un pistolero di colore ribelle, o attraverso il racconto dell'attività del presidente che pose fine alla schiavitù, l'America obamiana (e non solo) più che mai vuole raccontare, e raccontarsi, quegli anni.


Questo lungo preambolo, e questo parallelo, li abbiamo fatti semplicemente per specificare che Lincoln non è solo, né principalmente, un biopic sulla figura del sedicesimo presidente degli Stati Uniti. Il film di Spielberg, attraverso il racconto degli ultimi giorni della Guerra Civile, e del travagliato percorso parlamentare che portò all'approvazione del XIII Emendamento, è innanzitutto un'opera sulla centralità della politica: sulla necessità, la profonda dignità, ma anche le contraddizioni e i compromessi, che segnano questa fondamentale area dell'attività umana. In un momento storico in cui, negli USA come in Europa, la parola "politico" ha assunto una diffusa (ma pericolosissima) connotazione negativa, Spielberg dice col suo film una parola chiara: la gestione della polis, con tutti i suoi lati oscuri e moralmente contraddittori, è attività irrinunciabile per la vita associata; non solo fondante e innervante ogni aspetto del nostro quotidiano, ma espressione di un'idealità che, nonostante i compromessi e il prezzo (spesso altissimo) che la sua messa in pratica richiede, vale la pena vivere, respirare e difendere. Proprio l'aspetto dell'idealità, centrale dato l'argomento trattato, è quello che nel film viene fuori in modo più sfaccettato, con tutta la sua problematicità: rifuggendo intelligentemente da qualsiasi tentazione agiografica, il regista mostra un presidente tanto deciso a ottenere il suo obiettivo quanto spregiudicato nei metodi per arrivarci. "By any means necessary", frase pronunciata in un altro contesto, e da un leader con ben altri obiettivi, è un'espressione che potrebbe adattarsi benissimo alla visione che il film dà del personaggio, e della sua battaglia.

Lincoln ci porta, attraverso lo sguardo, segnato ma sempre più deciso, di un grande Daniel Day-Lewis, nei corridoi del potere, nel cuore pulsante della sua gestione: di esso vediamo meschinità e macchinazioni, calcoli e inevitabili compromessi. L'aspetto problematico dell'attività politica, la necessità di scendere per essa a patti dolorosi, spesso intimamente laceranti per chi fa della fedeltà agli ideali il suo faro, sono descritti con dovizia di particolari; soprattutto nella ricostruzione del complesso, certosino e vischioso lavoro di mediazione, persuasione e blandimento che il presidente e il suo staff compiono per assicurarsi la sospirata maggioranza, necessaria per far passare al Senato l'Emendamento che porrà fine alla schiavitù. Un'attività che non disdegna le promesse, le minacce, persino la corruzione: lupo tra i lupi, ma mai vacillante nella convinzione della giustezza della sua azione, il protagonista ribadisce con essa la necessità di "sporcarsi le mani", di mettere a tacere a volte, per raggiungere un obiettivo giusto, anche la voce (comunque sempre presente in sottofondo) della propria coscienza. Uno iato, e una lacerazione, che diventano ancora più evidenti nella figura del senatore radicale Thaddeus Stevens, a cui dà il volto un eccezionale Tommy Lee Jones: il dolore, la sofferenza nel tradire una coerenza che, finora, aveva sempre considerato condicio sine qua non del suo agire, diventano nel suo personaggio del tutto espliciti e scoperti.
Nonostante il rigore del suo svolgimento, assicurato dalla perfetta sceneggiatura di Tony Kushner, Lincoln è un film in cui non mancano affatto spunti umoristici; profusi anzi, questi ultimi, con generosità nel corso della narrazione, sempre funzionali a una rappresentazione del potere che a volte, da dramma, si trasforma in amara tragicommedia. L'aspetto più crepuscolare, e malinconico prevale invece nelle sequenze che vedono la presenza di Sally Field e Joseph Gordon-Levitt, rispettivamente moglie e figlio del protagonista, espressioni di un privato che è compresso e (inevitabilmente) schiacciato da una parte, dolorosamente incapace di esprimersi e di comunicare dall'altra. La regia di Spielberg gestisce con sapienza, e vigore, una narrazione che si snoda in 150 minuti, prevalentemente tra gli interni illuminati dalla fotografia, come sempre magistrale, del fidato Janusz Kaminski; concedendosi anche perle di tecnica (ed emozione) assolutamente mirabili, quali i due momenti-chiave della storia del personaggio: il sospirato coronamento della sua battaglia da un lato, e la sua tragica fine dall'altro. Ed è proprio l'emozione a non mancare, alla conclusione di un pezzo di storia vivo e pulsante come non mai: racconto di un popolo e di un suo simbolo, ma anche (e soprattutto) della nostra necessità di rapportarci alle idee, di confrontarci con esse, e di agire per la loro realizzazione.

Movieplayer.it

4.0/5