Recensione La fine del mondo (2013)

Con una perfomance in bilico tra il patetico e il maniacale, Simon Pegg ci regala un personaggio che travalica la semplice macchietta lasciando trasparire umanità e complessità.

All'ultima pinta

Vi siete mai chiesti dove vorreste trovarvi nell'attimo in cui dovesse accidentalmente giungere la fine del mondo? Gli italiani, da popolo mediterraneo quale sono, per concludere in bellezza sognano spiagge assolate, sdraio e ombrelloni. Per gli inglesi quale posto migliore di un pub? O ancora meglio, di dodici pub? Edgar Wright, che è inglese fino al midollo, ha deciso di concludere in bellezza la sua Cornetto Trilogy con un'opera apocalittica che mescola catastrofismo e demenzialità. Per sviluppare il suo La fine del mondo, il regista si è rivolto ancora una volta all'amico Simon Pegg, coautore della sceneggiatura, cucendogli addosso un ruolo indimenticabile. Pegg, ancora più stropicciato del solito e con i capelli tinti di nero, si infila nei panni (cappotto nero e t-shirt dei Sisters of Mercy) di Gary King, quarantenne immaturo dall'esistenza fallimentare che decide di chiamare a raccolta quattro amici del liceo per ritentare un'impresa epica già fallita una volta: il Glorious Golden Mile, il mitico tour dei dodici pub di Newton Haven, cittadina inglese in cui Gary e gli altri hanno trascorso l'adolescenza.


Nel capitolo finale della sua trilogia, Edgar Wright pone un freno alla sua esuberante ossessione cinefila. Se L'alba dei morti dementi - Shaun of the Dead e Hot Fuzz vivono principalmente in funzione dei generi - lo zombie movie e il poliziesco - che rileggono in chiave parodistica, con La fine del mondo il regista inglese confeziona un film più adulto e stratificato, capace di reggersi sulle proprie gambe. Non che manchino i riferimenti ad altre opere. Al primo livello ci troviamo di fronte a un divertito omaggio al sottogenere sci-fi alieno in stile L'invasione degli ultracorpi che, al tempo stesso, reinventa a suo modo il topos, anch'esso esplorato in tanto cinema europeo e americano, della reunion tra compagni di scuola. Dopo un breve incipit ambientato nel 1990, in cui viene riassunto il disastroso esito del Golden Mile tentato da cinque adolescenti di belle speranze, si passa a un presente da cui il borderline Gary King prova ad evadere convincendo con lusinghe e menzogne i suoi ex amici a ritentare l'impresa. "Nel mio cuore sapevo che la vita non sarebbe mai più stata così bella, e sapete cosa? Non lo è stata" confessa nel corso di una sessione di terapia. L'illusione di Gary di poter rimettere insieme i pezzi di un'esistenza fallimentare semplicemente bevendo dodici birre insieme agli amici di un tempo è il sintomo di un profondo malessere esistenziale. Con una perfomance in bilico tra il patetico e il maniacale, Simon Pegg ci regala un personaggio che travalica la semplice macchietta lasciando trasparire umanità e complessità. La compulsiva propensione alla menzogna, il disperato bisogno di piacere, quella concezione dell'amicizia egoistica e infantile ci fanno venire voglia di abbracciarlo e prenderlo a pugni al tempo stesso. Certo è che non dimenticheremo Gary King tanto presto.

Insieme a Pegg ritroviamo l'immancabile Nick Frost, terzo membro del team creativo. La sua alchimia con l'amico e collega è ormai un dato di fatto. Il suo Andy, saggio e posato, fa da contraltare alla follia di Gary/Pegg, ma al momento giusto anche lui sa riservare delle sorprese. Edgar Wright affida al suo personaggio il compito di veicolare i messaggi contenuti nel film che, come scopriremo nel finale, contiene un inedito sottotesto morale edificante e, a dirla tutta, piuttosto rivoluzionario. Nell'ottica di riunire tutti gli interpreti comparsi nei primi due episodi della Cornetto Trilogy, Martin Freeman non si limita, come in passato, a una breve comparsata, ma stavolta si misura con il ruolo di Oliver, agente immobiliare con l'auricolare eternamente incollato all'orecchio protagonista di almeno un paio di esilaranti duelli verbali con Simon Pegg. Eddie Marsan accantona i ruoli da villain per dar voce al fragile e pauroso Peter, con ottimi esiti. Più sottotono le performance di Paddy Considine, che interpreta il pacato Steven, personaggio decisamente meno scoppiettante del poliziotto di Hot Fuzz, e della bella Rosamund Pike, qui nel ruolo della sorella di Oliver colpevole, in gioventù, di aver avuto un flirt con Gary. Flirt di cui vuole cancellare il ricordo.
Dopo una prima parte dedicata allo sviluppo dei personaggi e al tour dei pub, il film cambia passo e il plot apocalittico/alieno comincia a rivelarsi a poco a poco. Edgar Wright si sposta su un terreno a lui più familiare dirigendo con mano sicura esilaranti scene action e combattimenti che dinamizzano il lungometraggio (imperdibile la scazzottata nel bagno del pub tra i cinque protagonisti e un gruppo di adolescenti), ma il suo stile caotico e scoppiettante viene 'addomesticato' dalla scelta di incanalarsi in un binario (l'invasione robotico-aliena) rigidamente codificato. La resa dei conti tra umani e alieni che si tiene al mitico The World's End non decolla come dovrebbe, nonostante la presenza di Pierce Brosnan e dell'invisibile Bill Nighy in un gustoso cameo, ma Wright coglie in contropiede il pubblico con un geniale coup de theatre piazzato a conclusione del film che scioglie i residui nodi narrativi. La soluzione finale ribadisce la sensazione di un Edgar Wright più maturo e umanista rispetto al passato, più concentrato sull'interiorità dei personaggi. Un autore capace di bilanciare azione, umorismo e introspezione. Che la fine della Cornetto Trilogy segni l'inizio di un nuovo corso?

Movieplayer.it

4.0/5