Recensione La cuoca del presidente (2012)

Un inno alla cucina francese e ai sapori della sua tradizione, in un film gradevole e ben recitato ispirato ad una storia vera. Sono le ricette a farla da padroni, insieme alla celebrazione dei sapori della tradizione e del buon cibo. D'altronde come diceva Montesquieu: 'Diffidate delle diete, una salute conservata con una dieta troppo severa è come una noiosa malattia'.

Potere della cucina e cucina del potere

Quanto mai attuale visto il successo sia televisivo che editoriale di programmi e libri di argomento culinario, arriva in sala La cuoca del Presidente, forte del successo di pubblico in Francia, dove è stato visto da più di un milione di spettatori. Il personaggio di Hortense Laborie, la protagonista del film, è ispirato alla figura Danièle Delpeuch, una famosa cuoca molto anticonvenzionale, appassionata della cucina tradizionale e dei prodotti tipici, che dall'ambiente rustico del suo agriturismo nel Périgord, si è ritrovata ad essere la cuoca personale del Presidente François Mitterrand per due anni all'Eliseo. Una sorta di avventuriera romantica, le cui scelte di vita sono state sempre e comunque legate alla cucina: la sua ultima impresa è la creazione di una coltivazione di tartufi in Nuova Zelanda.


Il racconto mescola piacevolmente elementi reali della vita di Danièle Delpeuch, e altri di fantasia: alcuni ricordi divertenti sono tratti suo libro Mes carnets de cuisine , du Périgord à l'Élisée, altri sono totalmente inventati. Hortense Laborie, sanguigna e dal carattere forte, pensa solo al suo lavoro e si preoccupa dei gusti del Presidente che viene sedotto dalla genuinità della sua cucina, instaura con lui un invidiato rapporto intimo e diretto, si prende gioco dei consiglieri che cercano di mettere il naso nella sua cucina, ma questo le si ritorcerà contro. I commenti acidi e cafoni degli chef della cucina centrale, che si sentono detronizzati e minacciati da lei, rappresentano solo l'inizio degli ostacoli che dovrà affrontare dietro le stanze del potere.
A proposito di stanze, numerose scene sono state girate all'interno dell'Eliseo, soprattutto si riconoscono il cortile d'onore e il salone delle feste, che conferiscono autenticità alla storia e rendono ancora più divertente l'effetto "elefante nella cristalleria" provocato da Hortense che non ha la minima idea delle rigide regole del protocollo, verso il quale il film riesce ad essere molto autoironico: i francesi sono maestri nel celebrarsi, anche quando fanno finta di non farlo. Gli anni dell'Eliseo sono raccontati attraverso dei flashback, durante l'esilio volontario in una base francese in Antartide dove Hortense si è confinata per un anno. Questa parte del racconto, in realtà girata in Islanda, è significativa nel contrasto con le dorature dell'Eliseo ma soprattutto nella misura in cui racconta la riconoscenza e l'amicizia che Hortense non ha mai vissuto nella sua esperienza a palazzo, e che invece le vengono riconosciute in un posto sperduto dall'altra parte del mondo.

Il film in se stesso è moderatamente divertente e ben costruito, anche se i personaggi non hanno grande spessore e risultano tutti piuttosto abbozzati e in qualche caso superflui: mancano quel pizzico di brillantezza nei dialoghi e nelle situazioni per poter definire irresistibile questa commedia, a differenza di altre recenti produzioni francesi. Sono piuttosto i piatti i grandi protagonisti del racconto, che è un inno alla grande cucina tradizionale francese e alla genuinità dei suoi prodotti, alla riscoperta del sapore delle cose semplici come piacevano veramente allo stesso Mitterrand. Quando il Presidente dice "Voglio piatti semplici, odio i piatti arzigogolati. Mi dia il meglio della Francia!" è ironico ma dimostra tutto l'attaccamento all'eccellenza francese, la cucina diventa rito sociale, un modo di apprezzare veramente la Francia, la sua geografia e i suoi prodotti.
Il regista Christian Vincent è un appassionato di cucina, un enologo e un cuoco lui stesso e ama condividere questo piacere con altri. Racconta lo sceneggiatore Étienne Comar che sul set delle cucine, tre rinomati chef sopraintendevano alla preparazione dei piatti, affinché non fossero solo belli ma anche commestibili. I primi piani dei piatti e la loro preparazione sono la cosa più appetitosa del film.
Anche Catherine Frot, perfetta nel ruolo di Hortense, ha seguito dei corsi ed ha passato settimane in compagnia di Danièle Delpeuch. E allora via con Rollè di salmone con cavolo e carote, Omelette ai funghi porcini del Périgord, Manzo dei marinai del Rodano, passando per i mitici Peti di suora fino al Poulard en demi-deuil, ovvero il Pollo a mezzo-lutto, tanto per ricordare quanta poesia c'è nella cucina, a partire dai nomi delle ricette. Hortense tra l'altro ha il vizio di parlare ad alta voce mentre cucina, per cui si segue la creazione del piatto neanche fosse una puntata di MasterChef: il risultato sullo schermo è talmente bello che verrebbe voglia di applaudire dopo l'"impiattamento". Molto poetici sono sicuramente gli incontri tra Hortense e il Presidente, la semplicità con la quale crollano le barriere tra loro nel condividere piaceri e ricordi legati alla cucina. Il Presidente è interpretato con tutto il suo carisma da Jean d'Ormesson, accademico, filosofo, uomo di lettere, editorialista, e ora per la prima volta davanti alla macchina da presa. Autore di A Dio Piacendo, ex direttore de Le Figaro, lui che Mitterand lo ha conosciuto davvero, evoca diverse generazioni e un intero passato politico, la Francia che c'era e forse ora non c'è più e attraverso la cucina vuole riscoprire e celebrare le sue radici.

Movieplayer.it

3.0/5