Recensione Judge Archer (2012)

Judge Archer, interessante gongfupian presentato nella sezione CinemaXXI del Festival di Roma, è l'opera seconda del regista cinese Xu Haofeng, già scrittore di successo nonché sceneggiatore del prossimo (e attesissimo) The Grandmasters di Wong Kar-Wai.

Frecce di giustizia

Siamo nel 1920, agli albori della Repubblica Cinese. Nonostante l'unità appena raggiunta, il paese è ancora instabile per le lotte tra i signori della guerra locali, e per le contese tra le varie scuole di arti marziali. A risolvere queste ultime è chiamato, per tradizione,il cosiddetto "Giudice Arciere": quest'ultima è una carica secolare, ricoperta da un personaggio che deve caratterizzarsi per il suo equilibrio e la sua abilità con l'arco. Le frecce scagliate dal giudice rappresentano infatti un simbolo di giustizia superiore e di appianamento dei contrasti. Quando il giovane Shuanxi è testimone dello stupro di sua sorella ad opera di una banda di criminali, la sua mente cede: il giovane viene immobilizzato da un gruppo di monaci e portato nel loro tempio, dove, secondo la tradizione, dovrà abbandonare la sua vecchia identità e trasformarsi in una nuova persona. Lasciato a vagare per le montagne in cerca di un nuovo nome, il giovane salva un uomo anziano da un'imboscata: questi è proprio il Giudice Arciere, che decide di addestrarlo per cedergli la sua carica. Il nuovo Giudice si troverà così a fare i conti con la sua voglia di vendetta verso gli aggressori della sorella, ma anche con la richiesta di giustizia fattagli da una donna...

Judge Archer, atipico gongfupian presentato nella sezione CinemaXXI del Festival di Roma, è l'opera seconda del regista cinese Xu Haofeng, che aveva già presentato a Venezia, lo scorso anno, il suo esordio The Sword Identity. Xu, già praticante e studioso di arti marziali, scrittore di successo, nonché sceneggiatore del prossimo (e attesissimo) The Grandmasters di Wong Kar-Wai, sembra voler dare coi suoi film una nuova impostazione al genere: via i voli, l'ipercinetismo e la fisicità estrema dei vecchi classici di Hong Kong, ma via anche la lettura astratta e stilizzata, tutta estetizzazione, che il genere ha assunto nella passata decade, attraverso gli apripista Ang Lee e Zhang Yimou. La visione del film di arti marziali di Xu è tutta improntata al realismo, al rifiuto della spettacolarità e dell'ipertrofia visiva, ma anche a un'estrema asciuttezza nella messa in scena, a una tendenza alla sottrazione e alle ellissi narrative nonché a una gestione essenziale e antispettacolare delle scene d'azione. I combattimenti, nel film di Xu, sono caratterizzati da lunghe pause, da dilatazioni dei tempi e da scontri rapidi i cui esiti, spesso, restano fuori campo. L'avversario viene studiato, prima che aggredito, e l'averne ragione passa per una comprensione profonda e una focalizzazione dell'obiettivo, risultato di controllo e autodisciplina. L'approccio al genere è dunque complesso e intellettuale, ma con poche concessioni ai formalismi di regia.
Tematicamente, il fulcro della trama è il contrasto tra un ruolo che impone al protagonista di cambiar vita, abbandonare le passioni e farsi garante di un ordine superiore, e il costante richiamo dei sentimenti, di una visione umana e terrigna della giustizia, di una voglia di vendetta che travalica qualsiasi tentativo di distacco ascetico. Il conflitto interiore del protagonista si riflette su quello più generale del paese, in cui una rapida trasformazione politica sta mandando in soffitta valori millenari, in cui la fedeltà ai propri maestri vacilla, e una sfida a duello diventa qualcosa di più del mero tentativo di risolvere una contesa: diventa, semplicemente, sopravvivenza e voglia di continuare a sentir scorrere il sangue nelle vene, per mantenere un ruolo e un senso al proprio agire in un contesto in continuo mutamento. Xu, che ha tratto il film da un suo racconto, porta sullo schermo questi temi col suo stile asciutto, che gioca costantemente a sottrarre dando grande spazio al non detto, sia visivo che narrativo. Gli stessi dialoghi, oltre alle sequenze d'azione, sono ridotti all'essenziale: le azioni, e le passioni, dei protagonisti, sembrano essere costantemente trattenute e poi lasciate esplodere, analogamente a quanto accade nei combattimenti.

Una lettura del genere, quella del regista, che necessiterà dunque di tempo per essere compresa e assimilata, e che potrà certo suscitare le perplessità dei puristi o di chi cerca in questo cinema modelli sicuri e codificati: ma il suo sguardo, originale e anticonvenzionale, potrà sicuramente continuare a produrre risultati interessanti, per chi avrà la disposizione per coglierne gli aspetti di novità e profondità.

Movieplayer.it

3.0/5