Recensione Jack Reacher - La prova decisiva (2012)

Il regista disegna con tratto sicuro solo il protagonista e abbozza tutto il resto; una scelta di campo netta che se da un lato porta i suoi frutti in termini di riconoscibilità, dall'altro si ripercuote sull'interezza del film.

Al centro del mirino

Un uomo spara alcuni colpi con il suo mitra. Nel mirino vediamo solo uomini e donne che cercano di sfuggire a quella furia omicida. Lui è calmo, freddo, rigoroso, preciso. Sono cinque le sue vittime. Messa in allerta da quella strage insensata, la polizia trova subito il colpevole, si tratta dell'ex soldato James Barr, che viene arrestato e preso in custodia. Pestato a sangue da altri detenuti, l'uomo, in fin di vita, dice al proprio legale, Helen Rodin, figlia del procuratore distrettuale, di cercare Jack Reacher, l'unico in grado di scagionarlo dalle accuse; i due infatti si erano incontrati anni prima sul fronte iracheno, quando il cecchino fu accusato di aver compiuto una strage. Propenso a credere nella sua colpevolezza, l'ex investigatore militare deve tuttavia ricredersi, insospettito dall'eccessiva esattezza delle prove raccolte contro l'uomo; un castello accusatorio così accurato da far intuire la volontà di trovare un capro espiatorio che copra un complotto più grande. Affiancato da Helen, che lo assolda come informatore, Reacher inizia un'indagine che lo porta a scoprire un'organizzazione criminale guidata dal potente Zec, molto radicata sul territorio, anche grazie ad aiuti insospettabili.


Con 60 milioni di copie vendute nel mondo, la saga dedicata a Jack Reacher, firmata dal britannico Lee Child, è uno di quei fenomeni letterari che non può essere sottovalutato e su cui dalle parti di Hollywood avevano messo gli occhi già da tempo. Ci sono voluti sette anni per concretizzare il passaggio dal romanzo al grande schermo, fino alla realizzazione di Jack Reacher - La prova decisiva, diretto e sceneggiato da Christopher McQuarrie. Tratto dal nono dei diciassette romanzi della serie di Child, quello di McQuarrie non è un brutto film ma ha tutta l'aria di essere una grande occasione sprecata; forse ci sarebbe stato bisogno di una regia diversa, più attenta ai particolari davvero sostanziali, che non a far quadrare tutti i pezzi del puzzle, alla ricerca di un equilibrio artificioso che priva l'opera di un'identità precisa. Premio Oscar nel 1996 per lo script di I soliti sospetti, McQuarrie dimostra di saper gestire i tempi narrativi, ma gli manca quella visione d'insieme che sappia trasformare la pellicola in un sistema compatto. E dire che la sequenza iniziale, dieci lunghissimi minuti in cui il nostro sguardo si sovrappone a quello del cecchino che con il suo mirino sceglie le vittime da uccidere (omaggio a Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo di Don Siegel?) faceva ben sperare per la continuazione del film, che invece cambia registro diventando un thriller anomalo e squilibrato.

Il regista, alla sua seconda opera cinematografica dopo Le vie della violenza, datato 2000, lavora come il più meticoloso dei ragionieri, dosando col bilancino i momenti bizzarri e quelli sentimentali, le scene d'azione (neanche tante, ma efficaci) e le parti dedicate all'investigazione, senza che nessun componente spicchi sull'altro, realizzando un prodotto pulito, ma poco coinvolgente. Costruito per stupire e per esaltare in maniera definitiva le doti del personaggio principale, il film obbedisce a una serie di regole che ne limitano la completa 'esplosione' e finisce per somigliare allo stesso Reacher: impeccabile, ma anche molto freddo. Sembra una banalità, ma considerato l'esito dell'intera operazione è una verità incontrovertibile, il film è il suo protagonista, un uomo d'altri tempi a cui Tom Cruise regala tutto sé stesso, ben conscio di aver arricchito la propria galleria di tipi con una figura che resta impressa nella mente. Forte, ma giusto, il suo Jack è un ramingo dalla logica ferrea che sa discernere il bene dal male, pervaso da un forte spirito conservatore.
Si è preso un bel rischio McQuarrie a congegnare la pellicola attorno ad un personaggio interessante sì, ma poco affascinante, che, a differenza di altri omologhi, non è in grado (anche per colpe dello stesso regista) di reggere sulle proprie spalle il peso dell'intera storia. Puntare tutto sull'eroe è azione lecita solo di fronte ad una personalità speciale, inattaccabile, compiuta; in caso contrario sono proprio gli intrecci paralleli e il valore degli antagonisti, a dare profondità alla fabula. L'autore cinematografico all'opposto disegna con tratto sicuro solo il protagonista e abbozza tutto il resto; una scelta di campo netta che se da un lato porta i suoi frutti in termini di riconoscibilità, dall'altro si ripercuote sull'interezza del film; perché ridimensionare tutte le altre figure, a partire dalla spalla femminile, Rosamund Pike, passando per il gagliardo ex marine interpretato da Robert Duvall, colui che aiuta Reacher nelle indagini e che gli dà una mano a sconfiggere i cattivi, per finire al villain, il glaciale Werner Herzog, di cui magari avremmo voluto sapere di più, fa scemare l'interesse per quanto si vede. Davanti alla legittima, ma sterile, glorificazione dell'unico paladino del film, viene da chiedersi perché non si sia scelta una via diversa per presentare al pubblico uno come Jack Reacher, ad esempio andando oltre l'appeal di Tom Cruise. In fondo, con qualche aggiustamento, l'epopea dell'ex soldato che prende il bus e non ha carta di credito e cellulare può ancora avere valore al cinema.

Movieplayer.it

3.0/5