Recensione Italian Movies (2012)

A gestire un insieme di personalità ed etnie in cui l'italiano, forse per la prima volta, viene posto allo stesso livello degli altri, è una regia giovane e fresca che, dovendo affrontare i problemi produttivi di un'opera prima, sopperisce alla mancanza di fondi con leggerezza e creatività.

Global Society

Mettete insieme un gruppo formato da italiani, indiani, slavi e africani e avrete uno dei film più commoventi, allegri e, allo stesso tempo realistici, mai realizzati sui problemi dell'integrazione razziale nella nostra società. A tentare l'impresa con successo è Matteo Pellegrini che, dopo una lunga gavetta nel settore pubblicitario e dei video musicali, arriva finalmente al suo primo lungometraggio di cui cura la sceneggiatura insieme a Paolo Rossi e Giovanna Mori. Teatro dell'intera vicenda sono gli uffici della produzione Studio61, nei cui set durante il giorno viene realizzata la seguitissima soap opera Tormento, ma è solo quando si spengono le luci che gli spazi vengono finalmente popolati dai protagonisti di una vita non artefatta. Dilip, Ben, Mako, Charlotte, Laloo e Gina compongono la squadra di pulizie che, guidata dal fiero Zahur, ha il compito di mettere ordine. Ognuno di loro è consapevole del ruolo marginale che sembra essere destinato a ricoprire nella società, ma, nonostante le difficoltà quotidiane, smettere di sognare è impossibile. Così, dopo essere casualmente venuti in possesso di una delle telecamere professionali, Mako e Dilip decidono di dare inizio ad un nuovo business di video per cerimonie, da realizzare all'interno delle varie comunità d'immigrati. Italian Movies, dunque, rappresenta per loro il sogno di ottenere una vita migliore e di uscire dal peso di un lavoro notturno.


Ben presto, però, le ragioni personali lasciano spazio ad una visione più globale che, nei mezzi e negli spazi delle Studio61 lasciati a loro completa disposizione, vede la possibilità di agire in favore di quel popolo d'invisibili destinati, come loro, a vivere ai margini. E' così che, nel segreto della notte, il gruppo inizia a produrre video da spedire alle famiglie lontane, per raccontare loro l'illusione di un'esistenza perfetta. In questo modo, nonostante l'uso di scenografie posticce e la creazione di realtà riprodotte, i set di Tormento assistono, per la prima volta, all'espressione onesta e sincera dei sentimenti umani. A gestire questo insieme di personalità ed etnie dove l'italiano, forse per la prima volta, viene posto allo stesso livello degli altri, è una regia giovane e fresca che, dovendo affrontare i problemi produttivi di un'opera prima, sopperisce alla mancanza di fondi con leggerezza e creatività. In modo particolare, si percepisce immediatamente come Pellegrini abbia prestato particolare attenzione alla struttura narrativa, costruita interamente intorno ad un gioco di opposti. Che si tratti della contrapposizione tra giorno e notte o realtà e messa in scena, tutto è rivolto a mettere in evidenza soprattutto le differenze che esistono all'interno del gruppo composto da un cast giustamente multietnico.

Attraverso la saggezza indiana di Neil D'Souza, rappresentata per l'occasione da improbabili proverbi secondo cui quando le scimmie cantano anche le tigri ballano, l'egoistico spirito di sopravvivenza messo in scena da Aleksei Guskov, la silenziosa rassegnazione dipinta sul volto di Anita Kravos, la gioiosa vitalità di Melanie Green e l'orgogliosa testardaggine del "guerriero" Eriq Ebaouaney, il film ricompone chiaramente una realtà sociale in cui questa moltiplicazione di linguaggi e culture può rappresentare una ricchezza inestimabile e un terreno di confronto. Un concetto che il regista comprende perfettamente, utilizzando, non a caso, i protagonisti italiani per sperimentare la sua teoria. In effetti, sia Michele Venitucci, chiamato a rappresentare un uomo affetto da un'irresponsabilità cronica, che Tiziana Catalano, destinata a soffocare la desolante solitudine di Gina nel fumo delle sue sigarette, nel quotidiano confronto con il gruppo crescono o si liberano da rabbiosi preconcetti, decidendo di non attendere più ma di tornare a vivere. Tutti insieme, poi, affidandosi al principio consolatorio che al cinema ogni cosa può accadere, mettono in scena l'illusione più grande; ossia quella di una società globale basata sulla diversità.

Movieplayer.it

4.0/5