Recensione Il volto di un'altra (2012)

Dando per scontato di trovarci nell'era dei reality e del dolore raccontato in diretta nazionale, Pappi Corsicato gioca con colori, sfumature, forme e costumi per mostrare il punto di non ritorno di una società culturalmente incivile.

Apparire o non apparire. Questo è il problema

Quanto costa ottenere un briciolo di notorietà? Per Bella, conduttrice televisiva caduta in disgrazia, la posta in gioco è altissima tanto da barattare il suo volto per tornare alla ribalta. Renè, invece, marito e chirurgo estetico vissuto all'ombra di questa donna egocentrica, accetta il rischio di una truffa all'assicurazione per salvare le sorti economiche della sua dispendiosa clinica e per soppiantare la moglie alla conduzione. Accanto a loro, bugiardi e mistificatori di professione, si affiancano una suora "ingorda" di beni materiali e Tru Tru, un operaio con il desiderio di diventare un cantante di successo. Tutti, affannati alla ricerca della propria ribalta, mettono in piedi la messa in scena del dolore cui il pubblico partecipa numeroso senza farsi troppo pregare. Così, fuori dai cancelli della clinica, si raduna la solita comunità di guardoni che, con camper, telecamere e gadget a tema, attendono con impazienza di ammirare in diretta televisiva l'operazione di plastica facciale totale cui si sottoporrà Bella, dopo essersi finta irrimediabilmente sfigurata. A questo punto rimane solo da chiedersi come sarà il nuovo volto di Bella, mentre nessuno s'interroga più sul valore di un'ormai desueta bellezza interiore.


Che non ci sia più grande differenza tra l'apparire e l'essere l'avevamo capito già da un po'. Ad annunciare involontariamente questa scomoda verità è stata soprattutto la televisione che, con trasmissioni incentrate sulla rincorsa di una fantomatica perfezione estetica o con personaggi saliti alla ribalta solo grazie al loro aspetto, ha chiarito perfettamente il concetto. Quindi, per essere bisogna indossare ed ostentare ma, più di ogni cosa, è necessario apparire. Fondamentale è impadronirsi di un cono di luce e abitarlo per tutto il periodo utile al proprio proposito. Un'azione, questa, che non richiede necessariamente qualità straordinarie, visto che in assenza di talento basta posizionarsi nei luoghi giusti e godere di una debole luce riflessa. Considerata la questione da questo punto di vista, dunque, sembra ovvio che il film diretto da Pappi Corsicato non sveli nulla di nuovo sui difetti dell'uomo moderno, anche se vederli sfilare in bell'ordine tutti insiemi crea comunque un certo effetto. Il volto di un'altra, piuttosto, esprime la sua potenzialità attraverso la struttura visiva, dove la scelta estetica dell'immagine attribuisce al contenuto un valore tragicamente comico e rivoluzionario. Per questo motivo, dando per scontato di trovarci nell'era dei reality e del dolore raccontato in diretta nazionale, Corsicato gioca con colori, sfumature, forme e costumi per mostrare il punto di non ritorno di una società culturalmente incivile.

Così il regista racconta con i toni leggeri di un'american comedy la vicenda di Bella e Renè, non esprimendo indignazione o la benché minima presunzione di denuncia. Anzi, facendo capo ad un gusto un po' barocco ed estroverso, si diverte a celare dietro un vero e proprio collage di riferimenti cinematografici, il simbolismo che è alla base di tutta la narrazione. Quindi, nonostante l'uso del bianco e nero alla Billy Wilder o le atmosfere soffusamente romantiche alla Douglas Sirk, i suoi personaggi mostrano la moderna inconsistenza di chi nulla rappresenta senza la propria maschera. Per questo motivo, probabilmente, si avverte da parte di Corsicato una certa tenerezza nei confronti degli abitanti della clinica che, impegnati a rincorrere l'eterna giovinezza, non si rendono conto di essere stati spogliati di tutte le loro caratteristiche. Sommersi nell'anonimato delle fasciature e delle vestaglie di seta, hanno completamente perso di vista la loro unicità, preferendogli l'omologazione. La stessa pietà è rivolta nei confronti di Bella e Renè, che attraverso il volto perfetto di Laura Chiatti e l'interpretazione volutamente grottesca di Alessandro Preziosi, non fanno altro che assecondare i bisogni della propria natura. Chi invece non merita rispetto è la folla, che ammassandosi in preda all'insaziabile bisogno di spiare ed assistere alle vite degli altri, è l'unico vero artefice di questo gioco voyeuristico. Per lei non esiste redenzione o punizione, ma solo il triste destino di chi accetta anche l'inganno come forma d'arte.

Movieplayer.it

3.0/5