Recensione Il giudice meschino (2014)

Luca Zingaretti posa la maschera del commissario Montalbano per stupire in una veste insolita: Il giudice meschino è pigro, disilluso e annoiato. Tutto cambia quando la vita lo prende a schiaffi e lo sprona a ritrovare la bussola morale...

Il giudice meschino: Luca Zingaretti nel post-Montalbano

Lavativo, indolente, insofferente: questa definizione calza a pennello a qualunque burocrate italiano, che si trascina pigramente per tutta la giornata lavorativa contando i minuti prima di uscire. Quando il posto di lavoro diventa un parcheggio sovraffollato o una noiosa parentesi il senso del dovere è ufficialmente morto, come dimostra l'ignavia che pervade il personaggio di Luca Zingaretti, protagonista de Il giudice meschino, la miniserie di Rai Uno di Carlo Carlei, in onda il 3 e il 4 marzo in prima serata.
Prodotta da Fulvio Lucisano e Paola Lucisano per Italian International Film, è tratta dall'omonimo libro di Mimmo Gandemi (Einaudi Editore) che propone luci e ombre di un magistrato alle prese con la 'ndrangheta.

Il periodo buio
La storia parte molto prima dell'indagine, in una fase della sua vita in cui il pm Alberto Lenzi (Luca Zingaretti) si lascia scivolare addosso i casi, senza prendere a cuore nessuna situazione, neppure quella familiare. Divorziato e con un figlio, sfiora l'esistenza senza assaporarla e vive un rapporto clandestino con il maresciallo Marina Rossi (Luisa Ranieri, moglie dell'attore) ma è incapace di legarsi.
"Non è che possiamo perdere tempo con tutti i cadaveri": risponde così al carabiniere che gli telefona per visionare la scena di un incidente/presunto omicidio. Al suo miglior amico e collega, il giudice Giorgi Maremmi (Gioele Dix) l'atteggiamento non piace: "Un conto è l'uomo, un conto è il magistrato. Questa indolenza mi fa incazzare. Voi siete talmente abituati a stare in mezzo al male che neanche lo vedete più. Io non ci sto". Purtroppo tanta devozione alla toga lo porta alla morte: l'assassinio brutale è il primo schiaffo che Lenzi riceve. È tempo di guardare in faccia la realtà e di prendere in mano le redini delle proprie decisioni, soprattutto considerato il fatto che neppure il figlio lo stimi: "La mamma dice - confessa il bambino - che tu sei un giudice così, per modo di dire". E aggiunge che quindi non deve aver timore di cadere vittima di un attentato. La metamorfosi è repentina, ma comporta conseguenze inaspettate.
Il mandante dell'uccisione di Maremmi sembra essere un boss mafioso della vecchia guardia, don Mico Rota (Maurizio Marchetti), in galera in attesa degli arresti domiciliari. Qualcosa, però, non quadra e Lenzi finisce per essere coinvolto in un'indagine molto più amplia, che riguarda persino i rifiuti tossici.
La fiction è lui
Nonostante la presenza de Il Commissario Montalbano aleggi come un'ombra sulle interpretazioni di Luca Zingaretti, va detto che la sua capacità di entrare nella pelle dei personaggi riesce a far scomparire tutto il resto. Il protagonista della fiction è un uomo legato alla giustizia e viene dal Sud, come il personaggio di Andrea Camilleri, ma ha una tempra totalmente diversa. Magnetico come il fascino del male sa essere anche quando non lo si esercita attivamente, ma lo si lascia scorrere nelle pieghe della società senza ostacolarlo, Lenzi ipnotizza il pubblico. La sua parabola esistenziale intriga, appassiona, commuove grazie ad un'interpretazione superba di chi lo interpreta, questa volta supportato da una partner d'eccezione, la sua compagna nella vita Luisa Ranieri. Finzione e realtà s'intrecciano inesorabilmente sullo schermo dando un vigore straordinario ai rispettivi ruoli e al loro turbolento rapporto.

Un mix sapiente
Il racconto è dosato sapientemente e si distacca dalla qualità media della fiction made in Italy, prova a cancellare ogni traccia di retorica e ad offrire personaggi tridimensionali e interessanti, ben scritti e ottimamente diretti. Grazie ad un cast ben assortito e sempre in parte, i protagonisti arrivano dritti al cuore del pubblico e qualche volta lo lasciano senza fiato, proprio come un pugno nello stomaco.
La storia ha ritmo, grinta e rabbia miscelati insieme nelle dosi giuste. Dopo eroi irraggiungibili e modelli di assoluta perfezione, la serialità nostrana si concentra maggiormente su imperfezioni e contrasti, per rendere finalmente la narrazione avvincente e persino sorprendente.