Recensione Il buono il matto il cattivo (2008)

Una vorticosa giostra visiva, che parte da Sergio Leone per arrivare nei territori iperrealistici e surreali del fumetto e del videogame.

Questo film è come un rock

C'è di tutto in The Good, The Bad, The Weird, a partire ovviamente il cinema di Sergio Leone, da cui è tratto lo spunto di partenza: tre temibili pistoleri, ingaggiati da diverse fazioni sullo sfondo della lotta d'indipendenza di Corea dal Giappone, lottano per accaparrarsi una misteriosa mappa del tesoro. Ma anche gran parte della tradizione dello spaghetti-western, da Sergio Corbucci a Terence Hill, da cui derivano direttamente i momenti fragorosi e le gag surreali. Ci sono anche le elaborazioni pulp che hanno già compiuto alcuni registi contemporanei, da Quentin Tarantino a Takashi Miike, che con il suo Sukiyaki Western Django si era già cimentato in un'operazione ipertrofica e citazionista molto vicina a quella del film di Kim Jee Woon. Ma lo stile caotico e fracassone di questo "Kimchi-western", come lo ha definito lo stesso regista riferendosi a un piatto tradizionale coreano particolarmente speziato, va ben oltre i riferimenti cinematografici per allargarsi all'universo del videogioco, del fumetto (meglio se manga) e dell'animazione. L'impressionante sequenza iniziale di The Good, The Bad, The Weird, che con un carrello vertiginoso immerge lo spettatore immediatamente dentro l'azione su di un treno in corsa, sembra presa direttamente da un adrenalinico videogioco d'azione. Le sparatorie interminabili e acrobatiche sfondano ben presto la barriera del realismo per dirigersi nei territori dell'esagerazione pura, dove i personaggi appaiono indistruttibili come eroi da cartoon. In particolare lo "Strambo" Song Kang-ho, grazie alla sua recitazione istrionica, incarna su di sé il lato più buffonesco e fumettistico del film (basta pensare alla sequenza in cui utilizza un ingombrante casco da palombaro per proteggersi).


Ma oltre alla raffinatissima componente visiva, il film si concentra anche sul versante musicale, con un contrappunto che aggiorna le melodie e i ritmi morriconiani, movimentandoli con un'insolita vena rock, a partire da quel "Dont'let be me misunderstood", che sembra proprio la colonna sonora ideale per rendere il dinamismo di un inseguimento cardine del film. Nonostante la lunghezza (e pensare che la versione originale, poi accorciata per ragioni commerciali, durava ben cinquanta minuti in più) The Good, The Bad, The Weird punta tutto sul ritmo: "ho voluto realizzare un film come se fosse un concerto rock", ha dichiarato il regista in conferenza stampa.

Si tratta quindi dell'ennesimo raffinato esercizio di stile cui Kim Jee-Woon ci ha già abituato in passato, prendendo spunto nel corso della sua carriera da un genere differente (dalla commedia sportiva di The Foul King, all'horror di Two Sisters, fino al noir di The Bittersweet Life) e tentando di rinnovarne le strutture e le dinamiche. Tanto inconsistente sul piano narrativo quanto ricercato nella confezione estetica, The Good, The Bad, The Weird è il film post-moderno per eccellenza: come un giro sulle montagne russe, il suo scopo è quello di sbalordire e sballottare lo spettatore, regalando momenti di pura gioia visiva, senza preoccuparsi troppo della coerenza dell'intreccio e della psicologia dei protagonisti. Un lungo, interminabile, inseguimento senza inizio e senza fine, movimentato e caciarone proprio come un concerto rock.