Recensione I bambini di Cold Rock (2012)

Dopo la rivelazione di Martyrs, il francese Pascal Laugier sbarca oltreoceano con un film che ripropone molti degli elementi iconografici e tematici cari all'autore, questa volta però con uno stile più edulcorato e normalizzante e senza la forza e la coerenza del predecessore.

Chi ha paura dell'Uomo alto?

Non si può certo dire che l'horror contemporaneo goda di ottima salute, perso com'è tra un'infinita serie di sequel, remake e reboot di cui francamente non si sente l'urgenza, e impantanato da una parte verso una deriva torture porn vacua e insensata, e dall'altra verso un'altrettanto poco significativa vena "mockumentaristica" che pare scimmiottare all'infinito lo sciagurato prototipo di The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair. Le poche prospettive innovative nei confronti del genere provengono sempre più spesso da autori del vecchio continente, in grado di offrire squarci di cinema insolito e destabilizzante. Tra questi, negli ultimi anni è emerso in particolare il nome del francese Pascal Laugier il quale, dopo l'esordio con Saint Ange nel 2004, ha sconvolto il panorama horror internazionale con Martyrs, opera allucinata e perturbante che travalica i canonici confini di genere per trasformarsi in una vera e propria riflessione filosofico-religiosa sul concetto di martirio e di sacrificio.


Acclamato immediatamente dalla critica come uno dei più fulgidi esponenti dell'horror europeo, Laugier ha forse sentito un po' troppo il peso di questa sua precocissima canonizzazione, tanto d'avere impiegato altri quattro anni prima di portare a compimento il successivo progetto, I bambini di Cold Rock (The Tall Man nella versione originale). Si tratta del suo primo lavoro a essere realizzato oltreoceano, lontano però dai clamori di Hollywood: il regista ha preferito girare in Canada e affidarsi a una produzione indipendente, ottenendo così il pieno controllo dell'opera fin dalle fasi di elaborazione del soggetto e della sceneggiatura.
I bambini di Cold Rock si situa in maniera perfettamente coerente all'interno della poetica di Pascal Laugier, riproponendo iconografia e i temi che lo avevano ossessionato fin dagli esordi, in particolare l'interesse nei confronti dell'infanzia e la riflessione sulla concezione cristologica del martirio.

Il presupposto di partenza dello script è simile a quello di molti horror americani ambientati in remote e squallide cittadine dove una comunità locale, di solito retriva e isolata, nasconde terribili e inquietanti segreti. Il paese di Cold Rock, nei pressi di Seattle, è caduto in declino dopo la chiusura della miniera che ne costituiva l'unico indotto economico. Da tempo sulla città sembra essersi abbattuta una maledizione: i bambini del villaggio continuano a scomparire senza lasciare traccia. Gli abitanti, in preda allo sconforto, sviluppano strane forme di superstizione e finiscono per convincersi che a portare via i loro bambini sia l'Uomo alto (il Tall Man del titolo originale), una sorta di creatura mostruosa che vive nei boschi circostanti. Quando a essere rapito è il figlio di Julia Denning (Jessica Biel), instancabile infermiera di Cold Rock nonché vedova dell'unico medico della città, verranno fuori nuove sconvolgenti rivelazioni sull'origine delle sparizioni e sulla stessa identità del misterioso Tall man.

Esattamente come nel caso di Martyrs, sarebbe improprio e riduttivo definire I bambini di Cold Rock semplicemente un horror. Man mano che si sviluppa l'intreccio - secondo una serie di cambi di prospettiva repentini e di continui ribaltamenti, come avveniva già nel precedente film - ci si accorge che ciò che interessa a Laugier è in realtà una riflessione più profonda che abbraccia vari temi; dal decadimento della società contemporanea, oramai precipitata nelle barbarie, all'importanza fondamentale dell'educazione infantile, fino all'insistere nuovamente sul valore salvifico e purificatore del sacrificio. Tuttavia, mentre nell'opera precedente le medesime questioni erano affrontate secondo un approccio e un'estetica decisamente più estreme e radicali, ne I bambini di Cold Rock lo stile registico si edulcora e si normalizza, finendo per perdere la sua forza. Soverchiato da uno script troppo ambizioso e non del tutto coerente, il film finisce per annaspare incerto, oscillando tra molteplici direzioni - horror, thriller, dramma familiare - senza però imboccarne nessuna con decisone, e trascinandosi verso un finale che lascia interdetti e che presenta diverse incongruenze col resto del racconto.
Non giova nemmeno l'interpretazione di Jessica Biel, qui sciupata e imbruttita, che non si dimostra capace di padroneggiare a dovere le sfumature recitative legate al genere.

I bambini di Cold Rock si rivela, insomma, un film interlocutorio, ancora troppo ancorato al precursore Martyrs e ricco di potenzialità non sfruttate, che speriamo Pacal Laugier riesca a rielaborare appieno nel suo futuro percorso di evoluzione artistica.