Recensione Gambit (2012)

Joel e Ethan Coen sono riusciti a consegnare nelle mani del regista Michael Hoffman una sceneggiatura capace di fondere il sofisticato sense of humour britannico con quello più rude del profondo Texas, dando vita ad una storia capace di far convivere due diversi mondi culturali e di farlidialogare in modo produttivo.

Come rubare un Monet e vivere felici

Per realizzare una buona commedia è necessario avere a disposizione una sceneggiatura precisa e ben scritta, attori in grado di interpretarla nel modo giusto e un regista disposto a far crescere i protagonisti nei rispettivi ruoli. A svelare questa formula quasi infallibile è l'attore gentiluomo Colin Firth che, dopo aver sfiorato l'Oscar con A Single Man e averlo ottenuto l'anno dopo con Il discorso del Re, ha evidentemente riconosciuto queste qualità nello script realizzato a quattro mani da Joel Coen e Ethan Coen, lasciandosi così tentare dall'umorismo american-british di una storia tutta da ridere ispirata al film Gambit del 1966 con Michael Caine e Shirley MacLaine. Sappiamo perfettamente che i fratelli del Minnesota non sono certo nuovi al remake o alla modernizzazione di vecchi modelli estetici e narrativi. La loro cinematografia è colma di riferimenti e omaggi al cinema del passato, basta ricordare Ladykillers, Prima ti sposo, poi ti rovino e Il Grinta, riadattati e interpretati secondo il loro stile personale. Quindi, anche in questo caso, è naturale e quasi scontato dare un valore del tutto personale al termine "rifare", soprattutto grazie all'uso di quell'ironia caustica e di quello sguardo sempre tagliente che negli anni sono valsi ai Coen premi, riconoscimenti e qualche critica di troppo.


Dunque, è del tutto inutile addentrarsi in confronti inesistenti con la contenuta eleganza del primo Gambit anni sessanta e la comicità più disinibita di questa nuova e inedita creatura cinematografica. L'unico elemento fondamentale, è che Joel e Ethan sono riusciti a consegnare nelle mani del regista Michael Hoffman una sceneggiatura capace di fondere il sofisticato sense of humour britannico con quello più rude del profondo Texas. Il segreto per riuscire in questo intento dando vita ad una storia capace non solo di far convivere due diversi mondi culturali, ma, soprattutto, di farli dialogare tra loro in modo produttivo, è stato quello di puntare su dei protagonisti diversi e complementari. Per questo motivo il compassato Colin Firth e la più scatenata Cameron Diaz sono stati la scelta giusta per rappresentare due emisferi opposti che, nell'utilizzo di un linguaggio solo in apparenza comune, rappresentano una squadra perfetta per comporre una comicità scorretta dal gusto un po' retrò. Al centro della vicenda, dunque, c'è il deluso e maltrattato Harry Deane, esperto d'arte al servizio di Mr. Shahbandar, rozzo magnate dell'editoria con il piacere del collezionismo e del nudismo. In modo particolare, la sua attenzione è concentrata sulla ricerca dei Covoni di sera, quadro rarissimo e introvabile di Monet che dovrebbe fare coppia con Covoni di giorno già in suo possesso. Facendo leva proprio su questa stravaganza da milionario, Deane tenta di realizzare il colpo grosso per dimostrare che il denaro e il potere non sempre si accompagnano all'intelligenza.

Ad aiutarlo in questa impresa, in apparenza disperata, è The Major, un ex militare con il talento per la pittura e una cowgirl, campionessa di rodeo, in arrivo direttamente dal selvaggio Texas per tentare Mr. Shahbandar con un falso d'autore. Un trio improbabile capace di unire l'incerta timidezza di Deane con l'irruente saggezza della bionda P.J. e di creare un'ironia profondamente fisica che dall'elegante e sempre impegnato Colin Firth proprio non ti aspetti. Evidentemente, però, gli inglesi sembrano avere un talento naturale per la risata, una caratteristica nascosta nel DNA che li porta ad utilizzare la propria fisicità per l'atto comico senza cadere mai nella volgarità scontata. Per questo motivo, oltre al volto di ghiaccio di Alan Rickman, che ancora non sembra essersi liberato del tutto dal mondo di Hogwarts, a dettare il ritmo di questa avventura è la figura di Firth in eterna opposizione con il mondo che lo circonda. Che siano sedie inaspettatamente pesanti, porte ostinatamente chiuse, cornicioni di palazzi londinesi o pantaloni mancanti proprio sul più bello, il mondo esterno sembra opporsi ai suoi progetti, cercando di scalfire, senza riuscirci, un'eleganza, in questo caso comica, ma mai priva di stile. Perché, oltre all'attitudine e all'esperienza al genere della Diaz, se c'è un elemento su cui questo film può contare per la sua riuscita, è la talentuosa imperturbabilità di Colin Firth, capace di mostrare tutte le sue qualità espressive con o senza i sofisticati completi firmati Tom Ford.

Movieplayer.it

3.0/5