Recensione Finisterrae (2010)

Sergio Caballero esordisce alla regia con un film di indubbia originalità, fatto di immagini capaci di togliere il fiato e di riflessioni ironiche, che ci guidano attraverso un racconto fiabesco sulla difficoltà di esistere.

Un surreale, bellissimo aldilà

Ognuno ha le proprie teorie, supportate dalla fede, dalla filosofia o anche solo dalla speranza, sulla vita dopo la morte. E visto che nessuno sa quale sia quella corretta, non è nemmeno così assurdo ipotizzare che i fantasmi di due fratelli, riconoscibili come tali grazie al classico lenzuolo bianco che ne nasconde le spoglie mortali, vaghino per la Galizia alla ricerca di un modo per ritornare alla vita. O meglio, assurdo lo è, così come assurdo, surreale e assolutamente affascinante è il viaggio messo in scena da Sergio Caballero nel suo tardivo (ha infatti 45 anni) esordio alla cinematografia. Si è fatto attendere, ma il curatore della rassegna di musica sperimentale Sonar lascerà sicuramente il segno in virtù della poesia, dell'umorismo e dell'incanto simbolico che Finisterrae regala allo spettatore.

Il perché del titolo della pellicola è presto detto: un oracolo ha rivelato ai due fratelli che l'unico modo per ritrovare la carnalità è arrivare, seguendo il cammino di Santiago, nella località spagnola. E per giungere alla meta i due, con i soli ausili di un paziente destriero e di una sedia a rotelle, di esperienze singolari ne dovranno attraversare parecchie: l'incontro con una strana hippie, un bosco sussurrante dotato di mille orecchie, un saggio gufo prodigo di consigli. Ma c'è da dire che i protagonisti accoglieranno queste stranezze, così come gli immancabili rovesci del fato, con uno spirito di adattamento e una laconicità invidiabili, punteggiando i vari episodi con commenti sardonici e riflessioni tragicomiche sulla propria condizione di spettri, di cui sapranno anche cogliere alcuni indubbi vantaggi.
E' quasi un racconto epico, un'odissea nell'immaginario pulsante e multiforme del regista, questo Finisterrae, che trae la sua forza in larga parte dalle splendide immagini immortalate da Eduard Grau, dal fascino pittorico ma nel contempo estremamente vive e parte attiva in una narrazione piena di magia, straniante ma che non per questo risulta vacua di significato. Certo la componente surreale e non sense, senz'altro debitrice del teatro dell'assurdo che tanto efficacemente ha saputo parlare della condizione umana, è uno dei pilastri della pellicola, ma il filo conduttore costituito dalla ricerca dei due protagonisti comprende ogni episodio organicamente, come parte di un processo necessario di crescita e maturazione. Come era facile aspettarsi, data la formazione del regista, l'importanza della componente sonora non è seconda a quella della controparte visuale, ed è studiata con la stessa acuta sensibilità: in un'alternanza di brani classici e rock, spiccano le voci dei protagonisti, un monocorde scambio di battute in russo che tutto decodifica secondo una percezione a tratti infantile, a tratti illuminante, ma sempre in grado di offrire un punto di vista inaspettato.

Per godere appieno dell'opera di Caballero, è necessario sospendere senza appello l'incredulità. Ma se si sarà in grado di lasciarsi trasportare dalla portata immaginifica di Finisterrae, restando alla larga da qualsiasi tentativo di catalogazione, non si potrà che rimanere conquistati dalla grazia fiabesca e romantica di quest'avventura, che va oltre la vita dandocene un'immagine di sconcertante bellezza.

Movieplayer.it

3.0/5