Recensione Elles (2011)

Più che essere un saggio rigoroso sul fenomeno della prostituzione tra le studentesse, Elles mette a confronto un'esistenza 'normale' come quella della protagonista e una realtà particolare come quella delle ragazze che si vendono per pagarsi gli studi.

Quelle brave ragazze

Una giornalista e due ragazze: tre voci distinte per raccontare un fenomeno molto diffuso e ancora fortemente discusso sui media francesi, quello della prostituzione tra le studentesse universitarie, che arrivano a vendere il proprio corpo per pagarsi gli studi. Anne viene incaricata dal magazine per il quale lavora di sviluppare un reportage su questo tema così scottante, ma l'incontro con due studentesse, Alicja e Charlotte, lascerà il segno sulla sua vita, spezzando le sue fragili certezze e trascinandola in un territorio oscuro in cui si troverà a mettere in discussione la propria vita.


La protagonista di Elles diretto dalla regista polacca Malgorzata Szumowska - e presentato al Festival di Berlino nel 2012, nella sezione Panorama - ha il volto della splendida Juliette Binoche, che arricchisce la sua interpretazione di Anne sovrapponendo con abilità diversi stati emotivi, dalla cautela con la quale si avvicina al tema principale del suo reportage, alla curiosità divertita nell'ascoltare le storie sui clienti, stati d'animo che poi faranno spazio ad un'inquietudine che sarà difficile dissimulare, soprattutto in ambito familiare.
Più che essere un saggio rigoroso sul fenomeno della prostituzione tra le studentesse, Elles vuole raccontare il modo in cui il confronto tra Anne e le ragazze arriva a scardinare l'esistenza "normale" della giornalista, che a confronto con quella di Alicja e Charlotte sembra meno libera e più vincolata a quella degli uomini che vivono con lei. Mentre le due ragazze accettano di assecondare i desideri più insoliti dei loro clienti - e da questo punto di vista il film non risparmia diverse scene forti - ma sono loro a guidare il gioco, decidendo chi incontrare e con quali modalità, Anne è una donna emancipata dal punto di vista professionale, ma tra le mura di casa resta comunque colei che si occupa delle faccende domestiche, dei figli e delle cene di lavoro di suo marito. A finire sotto la lente d'ingrandimento, quindi, non è la scelta di vita delle studentesse - che al contrario di come viene tratteggiata dai media francesi, qui viene definita come una scelta assolutamente libera, anche se vincolata da necessità economiche - ma la "normalità" di una donna qualsiasi, destinata presto a cedere.

Se nel film questo confronto tra due scelte di vita (e generazionali) così diverse si presta a sollevare discussioni scomode sul ruolo della donna nella società attuale e sulla natura delle scelte in questione, è il modo in cui viene raccontata la storia di Anne a destare qualche perplessità. La struttura narrativa della pellicola infatti, risulta talmente frammentata e discontinua da rendere poco comprensibile il percorso emotivo e psicologico intrapreso dalla protagonista. Per ammissione della stessa regista infatti, nello sviluppare lo script del film si è partiti da tante possibili sequenze da inserire, ma forse si sarebbe dovuta dedicare più attenzione al filo narrativo, in modo da rendere più efficace il racconto sull'esperienza di Anne a contatto con una realtà così particolare. Fortunatamente l'interpretazione della Binoche riesce ad equilibrare (almeno in parte) questo aspetto del film: la sua Anne prende vita sullo schermo con la sua spontaneità e le sue ipocrisie che iniziano ad andarle strette, la sua vitalità e la sua fragilità. Che lei sia titolare di una facciata rispettabile ma sia rinchiusa in una realtà inadeguata ai tempi di oggi, o sia invece una donna che cerchi equilibrio tra la propria affermazione sociale e il proprio ruolo familiare, la risposta viene lasciata alle ipotesi dello spettatore.

Movieplayer.it

3.0/5