Recensione Educazione Siberiana (2013)

L'affresco di questa enclave criminale siberiana possiede un fascino che non può lasciare indifferenti; il film presenta degli spunti molto buoni, ma a tratti sembra vittima della sua stessa struttura.

Noi non abbiamo paura

Siamo alla fine degli anni '80, nel sud della Russia, in una città utilizzata da Stalin come "ghetto" per i più pericolosi criminali del Paese. Tra i clan di diversi etnie abituati a seminare il terrore tra la popolazione, gli Urca siberiani sono i più particolari. Eredi di una tradizione culturale antichissima, essi sono dediti alle più disparate attività illegali, ma seguono un codice d'onore molto forte; uccidono solo se è necessario, rubano ai ricchi, cercando di non far mai diventare il denaro la cosa più importante della propria vita (infatti non lo tengono mai in casa), sono contrari allo spaccio e all'uso della droga, rifiutano lo stupro. Insegnamenti che il vecchio Kuzja passa al nipotino Kolima e al suo amico del cuore Gagarin. I due crescono nel quartiere di Fiume Basso attuando quanto più possibile questo insieme di regole. Sarà la vita però a dividerli; dopo un lungo periodo di detenzione, Gagarin, il più irrequieto dei due, torna in libertà smanioso di ottenere soldi e successo e per farlo non esita a tradire il suo gruppo, affiliandosi a Seme Nero. Kolima, invece, vive un amore impossibile per Xenja, una giovane "voluta da Dio", cioè afflitta da gravi problemi psichici. Quando la ragazza viene violentata e ridotta in fin di vita, Kolima, nel frattempo diventato un abile tatuatore, dovrà fare di tutto per fare giustizia e compiere la vendetta. Anche se questo lo metterà faccia a faccia con l'amico di sempre.


Va dato atto a Gabriele Salvatores di saper sperimentare, di non rimanere fermo a contemplare i successi ottenuti, sfruttandoli, semmai, come nuovi punti di partenza. Dalle commedie agrodolci degli esordi è passato a produzione singolari come Nirvana; ha sperimentato il linguaggio del noir (Quo Vadis, Baby?), ha fondato un fecondo sodalizio con Niccolò Ammaniti, di cui ha trasposto ben due libri, Io non ho paura e Come Dio comanda. Per questo è abbastanza naturale sentirsi spiazzati dalla sua ultima fatica cinematografica, Educazione Siberiana, tratto dall'omonimo romanzo di Nicolai Lilin. E' il senso di smarrimento che si prova di fronte ad un'opera che (al momento) si fatica a collocare all'interno della cinematografia di Salvatores. L'affresco di questa enclave criminale siberiana possiede un fascino che non può lasciare indifferenti; il film presenta degli spunti molto buoni, ma al tempo stesso sembra vittima della sua stessa struttura. A metà strada tra C'era una volta in America e Romanzo Criminale, paragone che ci sentiamo di fare per l'assonanza tematica, (un gruppo di giovani banditi che costruiscono in tenera età la propria identità sulla violenza, concentrando la loro affettività sull'amicizia virile) Educazione Siberiana ha un impianto narrativo molto solido, coerente e riconoscibile che dà vita ad una prima mezz'ora forte, ritmata, emozionante. Mentre il vecchio mondo sovietico muore e quello nuovo fatica a imporsi come tale (i carrarmati cambiano bandiera ma non mutano nella sostanza), gli Urca riconoscono solo sé stessi e si affidano a quella Madre Siberia forte e selvaggia come loro. Kolima e Gagarin, gli esordienti Arnas Fedaravičius e Vilius Tumalavičius, rappresentano in toto le grandi contraddizioni di quel preciso momento storico; se il primo si oppone al caos politico e sociale con la devozione alle tradizioni ancestrali della propria terra, incarnati dal patriarca Kuzja, John Malkovich, il secondo è bruciato dal desiderio del successo a tutti i costi, della ricchezza conquistata senza alcuno scrupolo. Meccanismo che il regista sostiene con padronanza, grazie ai salti temporali che segnano lo svolgimento della trama.

Purtroppo pare che il film abbia assorbito a livello visivo l'aspetto monolitico di ciò che racconta; sono pochi i momenti in cui la macchina da presa ci mostra qualcosa di indefinito (come la bella sequenza della giostra, con Absolute Beginners di David Bowie in sottofondo a rappresentare la possibilità di un cambiamento). Mancano purtroppo i chiaroscuri e, soprattutto, manca la riflessione autentica del regista su quanto narrato, che avrebbe reso l'opera decisamente più personale. Salvatores mostra la brutalità di quella società con uno stile piano, laddove invece sarebbe servito uno sguardo più fantasioso in grado di far deflagrare i contenuti profondi di una storia, che vede i suoi cardini nell'abnegazione assoluta, nella cieca adesione a leggi, regole, dettami, precetti che finiscono per diventare una seconda pelle per i protagonisti. Nel mondo degli Urca criminalità fa rima con religiosità, visto che la si "agisce" con lo stesso spirito con cui si invoca una grazia a Dio. E' il tema cruciale, a parere nostro, che la pellicola non sa analizzare fino in fondo, accontentandosi di restituirci solo l'esteriorità di quella ritualità e non il pensiero che ad essa è legato. E' evidente come tutto ruoti attorno al concetto di educazione, un complesso di codici che devono formare qualcuno che non è ancora 'completo', esattamente come quando si scrive su un quaderno bianco appena comprato; ma quello che ci è dato conoscere è solo la parte infinitesimale di un universo ricco di sensazioni e immagini, che noi sentiamo distante. Involontariamente goffa, poi, nella sua assoluta tragicità, la vicenda di Xenja (Eleanor Tomlinson), vittima sacrificale, donna e pazza, quindi due volte debole, viene usata "solo" per innescare l'agnizione finale. Contratta, semplificata, la storia a suo modo epica di Kolima e Gagarin viene impoverita ed è un vero peccato. Perché la capacità di realizzare una produzione dal respiro internazionale, nel senso più pieno del termine, Gabriele Salvatores ce l'ha, eccome.

Movieplayer.it

3.0/5