Recensione Eastern Boys (2013)

Thriller psicologico ed insieme dramma sentimentale con una profonda coscienza sociale, è un'opera formalmente affascinante che sfrutta la costruzione della tensione in maniera straordinaria sin dai primi minuti e che senza dare giudizi ci racconta le numerose metamorfosi dei rapporti d'amore.

Tra paura e desiderio

Vengono dall'Ucraina, dalla Russia, dalla Cecenia e dalla Romania, sono senza documenti, risiedono tutti in un hotel di periferia e bivaccano in gruppo alla Gare du Nord di Parigi. Sono giovani, alcuni di loro rubano, altri forse si prostituiscono, ma non è ben chiaro cosa facciano in quel posto tutti insieme ogni giorno. I 'ragazzi dell'Est' formano una vera e propria banda, e come ogni banda che si rispetti c'è un boss, un arrogante e violento malvivente senza scrupoli che tiene sotto scacco l'intero gruppo perché in possesso dei passaporti. Quando Daniel, un distinto cinquantenne benestante, posa gli occhi sul giovane Marek e quest'ultimo accetta di andare a trovarlo a casa l'indomani, la situazione si fa subito più chiara. Una brutta sorpresa aspetta Daniel sulla porta al suonare del campanello: la trappola è scattata, non gli resta che arrendersi ed aspettare il corso degli eventi che cambieranno per sempre la sua vita.

A dieci anni dal suo esordio dentro la macchina da presa con lo zombie movie Les Revenants, arriva l'opera seconda del regista di origine marocchine Robin Campillo, collaboratore di Laurent Cantet sin dal 1997 (e si vede...) come montatore e co-sceneggiatore. Eastern Boys non è solo un film sull'immigrazione o sull'omosessualità o sull'amore, né tanto meno è un film sul concetto astratto di paternità quanto più un thriller psicologico ed insieme un dramma sentimentale con una profonda coscienza sociale, un'opera formalmente affascinante che sfrutta la costruzione della tensione in maniera straordinaria sin dai primi minuti e che, senza dare giudizi, ci racconta le numerose metamorfosi dei rapporti d'amore. Pur non mostrando mai scene di sesso troppo esplicite o particolareggiate, il regista obbliga lo spettatore ad entrare nell'inconsueto e ambiguo viaggio sentimentale di un annoiato uomo di mezz'età che si innamora di un ragazzo molto giovane. Ben presto, quello che a tutti gli effetti nasce come un rapporto 'di scambio', si trasforma in qualcosa di totalmente diverso e nonostante tutte le complicazioni del caso e la paura di rimanere vittima delle sue stesse passioni, Daniel decide di iniziare una nuova vita prendendosi cura di Marek, un ragazzo in balìa di se stesso, schiavo di un passato da dimenticare e di un futuro da reinventare.
I colpi di scena si susseguono, l'azione non manca ma a colpire è il labirinto psicologico in cui il regista proietta i personaggi scavando nella loro intimità seguendo un percorso minato in cui non vediamo mai nulla di scontato. Due i momenti topici del film in cui lo spettatore rimane totalmente rapito dagli eventi: l'invasione di gruppo nell'appartamento di Daniel ad inizio film, metafora dell'invasione straniera ma anche dell'imprevisto che movimenta la vita del tutto anonima di un uomo solo, e la mezz'ora finale che regala un crescendo di suspense davvero inaspettato. Un film coraggioso, mai didascalico, audace nell'estetica e nelle tematiche, Eastern Boys è diviso in quattro capitoli che simboleggiano i quattro momenti cruciali del film in cui cambiano le relazioni, il punto di vista dei personaggi e i loro sentimenti. Due uomini di età diverse, l'uno rappresenta un grosso pericolo per l'altro, ma al contempo anche la salvezza. E così, coinvolti in un sentimento a metà tra paura e desiderio, i due continuano a chiedersi "ma cosa ci facciamo insieme?" senza riuscire a separarsi. Quello di Campillo è uno sguardo ardito sulla Francia di oggi, sul dramma dell'immigrazione e sull'alienazione dello straniero clandestino (i dialoghi tra gli immigrati sono totalmente privi di sottotitoli) e sul modo di sopravvivere dei ragazzi dell'Est nel Paese che l'ha adottato a tutti gli effetti tanti anni fa. Pregevole le interpretazioni di Olivier Rabourdin e del giovane Kirill Emelyanov, che instaurano sullo schermo un'alchimia di rara intensità: lo sguardo di quell'uomo maturo è pieno di passione e mai di possesso o di morbosità, ma è un po' come lo sguardo del regista che sta scegliendo il suo attore. Perché desiderare e amare qualcuno significa saper accettare l'idea di uscire dalla propria vita per diventare qualcun altro.

Movieplayer.it

4.0/5