Recensione Chained (2012)

Il film della Lynch è sorretto dalla monumentale interpretazione di Vincent D'Onofrio, che riesce a restituire la ferocia del suo Bob attraverso un sorprendente lavoro sulla voce e sulla pronuncia delle parole.

La catena della colpa

E' una carriera strana quella di Jennifer Chambers Lynch. Figlia di uno dei più grandi cineasti contemporanei, che ha seguito sul set in giovane età, ha esordito dietro alla macchina da presa a soli 19 anni con un film imbarazzante come Boxing Helena, tripudio di sadismo e violenza che lei stessa ha spacciato per favola moderna (impossibile crederle). Stroncata all'unanimità dalla critica, che non le ha risparmiato spiacevoli (e impietosi) raffronti con l'arte paterna, si è rimboccata le maniche, ha superato i postumi di un incidente stradale che ha rischiato di renderla paralizzata, e ha ricominciato daccapo, senza perdersi d'animo, fino al suo ultimo lavoro, Chained, presentato nella sezione Rapporto Confidenziale del Torino Film Festival. Quello con la sceneggiatura scritta da Damien O'Donnell non è stato proprio amore a prima vista, considerato che il racconto era strutturato come un vero e proprio torture porn. Ottenute delle garanzie dai produttori, Lee Nelson e David Beulow, la Lynch ha trasformato la storia in una riflessione sulla violenza umana, ancor più atroce perché compiuta da qualcuno all'apparenza 'normale'. L'autrice quindi affonda ancora una volta le mani nell'inferno caotico di una mente malata, ma rispetto alle esperienze precedenti lo sguardo su un personaggio abietto come il protagonista è meno compiaciuto.

Tassista corpulento e dallo sguardo assente, Bob è un serial killer che sceglie con cura le sue vittime, le porta nella casa isolata e le uccide dopo averle violentate, sotterrandone i resti. Impossibile dare una giustificazione a questo abominio che ha radici negli orrendi abusi a cui è stato sottoposto dal padre. Costretto dal genitore ad avere rapporti con la madre, Bob è cresciuto considerando naturale una devianza di quella gravità, che lo porta a cancellare le donne, fisicamente ma non solo. Un giorno a cadere nella trappola del maniaco sono Sarah (Julia Ormond) e suo figlio Tim, rapiti all'uscita da un cinema. La donna viene quasi immediatamente uccisa, mentre il piccolo resta con Bob e viene allevato dall'uomo come se fosse un figlio. Terrorizzato da quanto visto e completamente inerme, il bambino accetta quella condizione, anche quando viene legato ad una catena (da qui il titolo del film) che gli impedisce ogni movimento o possibilità di fuga. Anno dopo anno, Tim, ribattezzato Rabbit, è costretto ad assistere alle violenze perpetrate ai danni di giovani malcapitate; diventa l'addetto alla catalogazione dei documenti e degli effetti personali delle donne, raccoglie gli articoli sui quotidiani relativi alle loro sparizioni e, infine, impara da Bob tutti i segreti dell'anatomia umana, in particolare di quella femminile. Quasi maggiorenne, Rabbit deve perdere la verginità e Bob lo obbliga ad un primo, orrido rito di iniziazione sessuale. Dovrà scegliere una ragazza, farla sua e ucciderla. Qualcosa però è rimasto integro nel cuore e nella mente del ragazzino e fortunatamente il meccanismo perfetto, sostenuto anche da un altro insospettabile personaggio, si inceppa.
Il film della Lynch è sorretto dalla monumentale interpretazione di Vincent D'Onofrio, che riesce a restituire la ferocia del suo Bob attraverso un sorprendente lavoro sulla voce e sulla pronuncia delle parole, nervosamente declamate, quasi fosse un automa; particolare che potrà essere apprezzato dal pubblico, visto che il film uscirà in DVD grazie a Koch Media e sarà quindi possibile gustarselo in lingua originale. Al di là di questo elemento, in effetti non secondario, dobbiamo ammettere che il film resta comunque in superficie e dà la sensazione di essere strutturato come l'episodio di una serie televisiva, piuttosto che come un'opera cinematografica compiuta. Al centro della storia c'è il mostruoso affetto filiale che Tim/Rabbit (Eamon Farren) prova, suo malgrado, per Bob; un sentimento che è stato alimentato da anni di violenza, vessazioni, frutto di una terribile imposizione. Quando assistiamo alle lezioni di anatomia che Bob impartisce al ragazzo, dolore e paura si mescolano, e non per l'aspetto truculento delle sequenze, quanto per la brutalità dell'ideale di sopraffazione del prossimo di cui Bob è latore; le persone non sono altro che puzzle, un insieme di pezzi che si possono scomporre a proprio piacimento. Visione consigliata, dunque, solo ai più ostinati patiti del genere, che se non altro possono inserire nella propria galleria di serial killer un personaggio da brividi.

Movieplayer.it

2.0/5