Recensione Centro Histórico (2012)

In questo Centro Historico, quattro maestri del cinema europeo offrono la loro visuale, il loro sguardo, su una città la cui anima, spesso dolente, è in gran parte sconosciuta a chi la visita, e spesso anche a chi la abita.

Centro di gravità cangiante

Guimarães, Capitale Europea della Cultura nel 2012, antico centro da cui nacque, quasi un millennio fa, lo stato portoghese. Un piccolo ristorante sito in una via secondaria, retto da un oste solitario e malinconico, che per attirare clienti inizia a copiare il menù del più frequentato locale vicino; un vecchio soldato della Rivoluzione dei Garofani, che, chiuso in un ascensore, dialoga con un bronzeo commilitone che incarna i fantasmi del suo passato; una fabbrica abbandonata, un tempo volano dello sviluppo economico del paese, la cui memoria rivive attraverso una vecchia foto, e le tante testimonianze degli operai che vi hanno lavorato; un'orda di turisti che si riversa per le strade del centro, e che, armata di decine di macchine fotografiche, prende d'assalto la statua del conquistador Alfonso Henriques, colui che nel 1128 liberò la città dal dominio spagnolo e ne fece la prima capitale del Regno del Portogallo. Vicende diverse sul palcoscenico di una città in cui passato e presente si intrecciano, storie e memorie di chi ha costruito la coscienza civile del paese che coesistono con la vita vissuta di uomini e donne che, faticosamente, cercano un loro posto in una realtà contraddittoria.

In questo Centro Historico, film d'apertura della nuova sezione CinemaXXI del Festival del Film di Roma, quattro maestri del cinema europeo offrono la loro visuale, il loro sguardo, su una città la cui anima, spesso dolente, è in gran parte sconosciuta a chi la visita, e spesso anche a chi la abita. L'opera di Aki Kaurismaki, Pedro Costa, Victor Erice e Manoel De Oliveira ha infatti ben poco del film-cartolina, e molto del documento filmato (poco importa se con gli strumenti della fiction), del resoconto sospeso tra passato e presente, della ricerca di un genius loci che si agita, inquieto, tra i luoghi in vista e quelli nascosti, e si manifesta solo a chi ha gli occhi, e il cuore, per percepirlo. L'iniziale O tasquiero è puro Kaurismaki: nessun dialogo, un tono sottilmente malinconico, un protagonista che parla con gli occhi e le movenze, una scelta di solitudine che è fuga dal presente. Il successivo Lamento da vida joven è la ballata di chi non è ancora venuto a patti con un passato doloroso: claustrofobico anche nell'ambientazione, essenziale ed ostico nella messa in scena come tutto il cinema di Costa, intenso e persino ossessivo nei toni. Vidros Partidos è l'episodio più riuscito e ambizioso, un'opera di finzione mascherata da documentario: rendendo attori gli ex operai della Rio Vizela (un tempo la più grande industria tessile d'Europa, chiusa nel 2002) Erice restituisce dignità alle loro storie e narrazioni, rende collettiva la loro testimonianza, ne fa contrappunto vocale ai volti ritratti in quella vecchia foto, recuperata dentro la fabbrica abbandonata. De Oliveira, infine, in O conquistador conquistado fa un ironico (ma affettuoso) ritratto della Guimarães attuale, si interroga su un certo modello di turismo, rende scoperto il suo garbato "gioco" nell'inquadratura finale.

Centro Historico è inevitabilmente poco compatto in visione e toni, in ritmi e atmosfere, persino nelle durate dei quattri episodi (tipicamente da cortometraggio il primo, ancor più concentrato il quarto, maggiormente corposi gli altri due). Eppure, il fil rouge che lega questi segmenti così diversi è un sentimento inequivocabile di solitudine, un'attenzione agli outsider di ogni categoria, un rimpianto più o meno esplicito per il passato che diventa rapporto problematico col presente. I quattro registi perseguono ognuno la propria via al racconto, introducono nell'opera le proprie peculiarità di sguardo, mettono in scena i rispettivi episodi senza badare alle necessità di armonizzare il tutto. Ma è da dire che, se la polifonia vocale crea a tratti delle dissonanze, i frammenti offerti da ogni singolo autore brillano di luce propria: e, lo ripetiamo, se dovessimo scegliere, la nostra preferenza andrebbe proprio al coraggioso episodio di Erice, che cava emozione pura, limpida, da una vecchia fotografia e una serie di interviste (in realtà frutto di un'abile scrittura) coi protagonisti che guardano in macchina. Un risultato, quest'ultimo, che sarebbe precluso a chiunque fosse qualcosa di meno di un maestro. Ma ogni segmento ha la sua ragion d'essere: illuminando aspetti, momenti, facce diverse di una città che continua a rivolgere un occhio alle sue spalle e a proiettarne un altro direttamente verso il futuro. Cogliere e fare proprio questo sguardo strabico è, ancora una volta, speciale peculiarità del cinema.

Movieplayer.it

3.0/5