Recensione Carnage (2011)

Carnage è a tutti gli effetti una black comedy, tanto esilarante quanto irriverente, che non nasconde la sua genesi teatrale ma anzi la ostenta in modo elegante attraverso la scelta coraggiosa ma assolutamente vincente del real time.

Ferisce più la lingua che il bastone

Due coppie di genitori si incontrano per la prima volta in un appartamento newyorchese in seguito ad un violento litigio tra i rispettivi figli undicenni.
Penelope e Michael - scrittice ed attivista lei, agente di commercio lui - sono ospitali e disponibili ad una riconciliazione nonostante il figlio abbia perso due denti e subito diverse abrasioni sul viso; Nancy e Alan - rispettivamente broker finanziario ed impegnatissimo avvocato alle prese con i guai di un'industria farmaceutica - evidentemente a disagio non solo per la spiacevole situazione in cui si trovano loro malagrado coinvolti ma anche perchè entrambi troppo occupati dalla loro carriera per poter "perdere tempo" con quella che è evidentemente una faccenda tra ragazzi. Una parola di troppo, un tono sbagliato, e quella che doveva essere una rapida e indolore visita di cortesia si trasforma in un pomeriggio infernale per tutti e quattro, un vero e proprio gioco al massacro in cui non esistono più ruoli o parti ma semplicemente ognuno lascerà emergere quello che si cela dietro l'ipocrisia e il politically correct che ci viene imposto dalla società e dal peso di essere adulti.


Con quell'atto così violento e primitivo, ma proprio per questo anche così schietto e liberatorio, i due ragazzi hanno infatti manifestato i loro sentimenti senza alcuna barriera, e così facendo hanno forse paradossalmente creato le basi per quella potrebbe essere anche una durevole amicizia. Per i loro genitori è invece più difficile: ossessionati dalla volontà di voler mantenere la propria maschera e conservare il proprio ruolo e la propria posizione davanti agli altri, gonfi di un risentimento verso la vita, il coniuge e forse perfino se stessi, i quattro genitori cercheranno in tutti i modi di celare la propria natura finché non sarà la verità stessa ad emergere potente ed esplosiva, tra urla, offese, ubriachezza molesta e perfino getti di vomito.

Il nuovo film di Roman Polanski non potrebbe essere più differente dalle ultime opere della sua filmografia: Carnage è infatti a tutti gli effetti una black comedy, tanto esilarante quanto irriverente, che non nasconde la sua genesi teatrale ma anzi la ostenta in modo elegante attraverso la scelta coraggiosa ma assolutamente vincente del real time: fatta ad esclusione infatti dei titoli di testa e coda peraltro accompagnati dalle musiche dell'ormai fedele Alexandre Desplat, i restanti 75 minuti della pellicola sono tutti ambientati in un'unica location e girati in tempo reale, senza sbalzi o ellissi temporali, senza commento sonoro; perfino i movimenti della macchina da presa sono ridotti al minimo. Il lavoro di Polanski è qui molto simile a quello di un regista teatrale (e non è un caso, visto che questo Carnage è stato uno dei più grandi successi drammaturgici degli ultimi anni, in tutte le sue versioni, a Parigi, come a Londra o a New York), si limita a rendere il più possibile dinamica una storia per sua natura statica e per il resto si mette a servizio del suo straordinario cast, gestendo al meglio non solo il loro talento ma anche la natura corale dell'opera stessa.
Jodie Foster, John C. Reilly, Cristoph Waltz e Kate Winslet - in rigoroso ordine alfabetico - sono tutti e quattro fenomenali soprattutto come ensemble, con una complicità ed una chimica che tradisce settimane di dure prove proprio come se si trattasse di uno spettacolo teatrale; sceglierne uno o due che spicchino più degli altri è un compito davvero difficile e prevediamo infatti già da subito un mare di polemiche in tempo di nomination agli Oscar e non pochi problemi per la giuria veneziana; di certo quella di cui si parlerà più di tutti è la divina Winslet che nel finale diventa anche volutamente sopra le righe, ma solo perché la trasformazione del suo personaggio è la più divertente, sboccata e catartica di tutte. La Foster è invece perfetta nell'equilibrare ragione ed isteria, così come Reilly nel conferire al suo personaggio quell'aura di mediocrità degna di quel Mr. Cellophane che lo rese celebre in Chicago e Waltz conferma i suoi straordinari tempi comici, ritornando a mangiare torte ed essere odioso e amabile al tempo stesso come lo era stato per Tarantino in Bastardi senza gloria. Lo ripetiamo, essere costretti a scegliere in questo caso diventerebbe davvero... un gioco al massacro.

Movieplayer.it

4.0/5